Roberto Fabbri
Rotti i sigilli della centrale di Isfahan e rotti gli indugi: indietro non si torna. LIran ha annunciato al mondo la ripresa, «sotto la supervisione dellAgenzia atomica internazionale» (Aiea), dellattività nellimpianto di conversione delluranio. Con questo, gli appelli più volte ripetuti dei mediatori dellUnione europea e della comunità internazionale - che temono che dietro lo sbandierato programma di produzione di energia atomica per uso civile se ne nasconda uno segreto per la produzione di ordigni nucleari - sono stati definitivamente respinti al mittente.
A questo punto la strada più probabile è quella di un deferimento dellIran al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, che potrebbe decidere limposizione di sanzioni economiche. Ma intanto, oggi si terrà a Vienna una cruciale riunione del Consiglio dei governatori dellAiea (agenzia collegata allOnu): un meeting deciso dopo che le proposte di compromesso europee erano state respinte. E gli Stati Uniti, che avevano sempre detto che la ripresa dellattività di conversione delluranio avrebbe dovuto portare la questione direttamente allattenzione dei Quindici al palazzo di vetro, hanno detto di attendersi che a Vienna «vengano prese misure appropriate»: in altre parole, lOnu deve intervenire.
Il passo deciso da Teheran è di estrema gravità. I timori che esso solleva in Occidente e in Israele sono tali da far discutere, da molto tempo ormai, delleventualità di unopzione militare per fermare la «bomba islamica». LIran ne è consapevole, e non a caso limpianto di Isfahan è protetto da decine di batterie antiaeree.
Considerato lelevato rischio a cui si espone, ci si domanda perché lIran prosegua su questa strada. Osservatori occidentali ritengono che questa non sia altro che lennesima tappa di un tragitto percorso con il metodo dei due passi avanti e uno indietro. E che con un cinico impiego della diplomazia e di molte menzogne più o meno abili la Repubblica islamica altro non stia facendo che guadagnare tempo. Lobiettivo? Fare come la Corea del nord: la quale ha ottenuto, a differenza dellIrak di Saddam Hussein, di non essere attaccata dagli americani proprio perché è riuscita a dotarsi per tempo di un deterrente nucleare. Un bel giorno, dicono questi analisti, gli ayatollah di Teheran annunceranno trionfanti al mondo di aver preso tutti in giro e di avere le sue due-tre bombe pronte alluso. Un uso potenzialmente non solo difensivo.
È evidente che gli ultimi sviluppi di questa annosa e inquietante vicenda rappresentano un ennesimo smacco per la diplomazia europea. Duri e sgomenti al tempo stesso i toni usati dai ministri degli Esteri francese (Philippe Douste-Blazy denuncia «la violazione degli accordi di Parigi»), britannico («scelta dannosa e molto preoccupante, rappresenta una grave crisi») e tedesco (per Joschka Fischer «ora bisogna evitare conseguenze disastrose»). Ma ancora ieri il portavoce della Commissione Stefaan De Rynck ha detto di continuare a sperare in una soluzione negoziale. De Rynck ha immancabilmente riconosciuto che gli iraniani «avranno bisogno di tempo» per studiare il pacchetto di proposte europee che hanno già respinto e ha chiarito che lopzione del rinvio al Consiglio di sicurezza non è la preferita a Bruxelles.
Gli iraniani intanto induriscono le loro posizioni. Il nuovo presidente, lestremista islamico Mahmoud Ahmadinejad, ha rimpiazzato il pragmatico capo dei negoziatori sulla questione nucleare Hassan Rowhani con Ali Larijani, un «falco» noto per la sua vicinanza alla Guida suprema della teocrazia iraniana, layatollah Khamenei. Altri segnali di spostamento su posizioni di sfida non mancano.
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