L’ispettore che incastra i criminali con matite e risme di carta

Per lui a verità è nascosta dietro una manciata di matite ben temperate e plichi di fogli bianchi da disegno. Giovambattista Rossi, 53 anni, bergamasco, da trenta ispettore di polizia alla Scientifica di Milano, è ufficialmente l’ultimo professionista italiano titolato a disegnare gli identikit dei sospetti. I corsi per i disegnatori organizzati dal Dipartimento di pubblica sicurezza terminarono infatti nel 1980 e vi parteciparono in 21: gli altri sono ormai tutti in pensione e lui, in previsione di raggiungerli, si sta creando alcuni degni eredi.
Sorride sotto i baffoni quando sostiene che il suo lavoro consiste nel «rimuovere i mattoni» che coprono la faccia della verità. Ma è proprio questo - tra le linee arquate che tratteggiano occhi, sopracciglia, nasi e bocche - a renderlo unico nel suo genere. Per sbucciare l’anima e ricavarne un volto, infatti, occorrono abilità manuali ma anche psicologiche: da una parte si cerca di creare un rapporto di fiducia con il testimone, immedesimandosi quasi totalmente in lui per tranquillizzarlo prima e fargli esprimere poi quelle emozioni, spesso violente, dalle quali prenderanno forma i volti, dall’altra tenendo bene a mente il misto di immagini e sensazioni della vittima, occorre non farsi coinvolgere. «Di solito i testimoni hanno impresse immagini e caratteristiche somatiche deformate - precisa -. A chi subisce una violenza viene strappata l’intimità, si chiude a riccio ed è difficile rimuovere, appunto, quel muro di mattoni che coprono la verità perché, in simili condizioni, la persona non capisce che il poliziotto è lì per dare una mano. Allora cerco di creare un rapporto diretto con la vittima, magari ci vado a fare una passeggiata o a prendere un caffè. Chi è testimone di un reato, invece, ed è disposto a collaborare - prosegue Rossi - può fornire un identikit molto preciso, soprattutto se la distanza che lo separa dal malvivente è relativa».
I colleghi, che conoscono l’esperienza professionale e umana di Rossi, lo descrivono come un fenomeno: «L’80% dei suoi identikit sono perfetti - dicono -. Un giorno realizzò il viso del rapinatore di una banca grazie alla collaborazione di un impiegato. Che, terminato il disegno, lo trovò talmente somigliante all’originale da insinuare che Rossi conoscesse personalmente il balordo!».
«L’elemento più importante registrato dal testimone? Il modo di fare. Nella ricostruzione dei volti di killer e stupratori è fondamentale perché il volto fuoriesce proprio da quella che è la sostanza di una persona - spiega l’ispettore Rossi -. E non dimentichiamo che il disegno non costituisce mai prova di reato, ma un ulteriore elemento di prova».
Gli chiediamo quali sono le caratteristiche che le vittime o i testimoni dimenticano più di frequente («orecchie, mento e naso») e cosa deformano più spesso («occhi, forma del volto e sicuramente la bocca che poi sarebbe l’anima di un uomo, la sua impronta»). E aggiunge: «Le vittime delle violenze sessuali deformano molto la grandezza delle mani del loro stupratore e si disperano quanto più il reato li ha toccati nell’intimo. A quel punto il muro crolla, loro si liberano e io riesco a realizzare un identikit quasi perfetto, talmente preciso che poi sono obbligato poi ad andare a testimoniare in tribunale».
«Comunque preferisco lavorare con impiegati di banca, perché non sono per niente coinvolti dalla rapina subita dalla loro filiale - conclude Rossi -.

I bambini vittime di violenze, invece, sono freddi ma al tempo stesso ti fanno sentire malissimo perché esprimono il disagio, la sensazione di sentirsi loro i veri colpevoli: gli adulti che li circuiscono e poi approfittano di loro il più delle volte li fanno sentire colpevoli di essere stati loro, i bambini, a provocare. Gli identikit realizzati con i minori, però, sono anche i più precisi. E, alla fine, loro mi sono molto riconoscenti e mi mandano i loro disegni».

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