L’ispettore prima prega, poi ammazza il collega

CataniaSi è chiuso al buio in una cella del carcere di massima sicurezza di Bicocca, in ginocchio ha recitato il Padre Nostro con la Bibbia in mano, poi ha impugnato la pistola e ha sparato 15 colpi, l'intero caricatore, su un agente che in quel momento stava attraversando il varco che separa i due portoni in ferro della porta carraia del carcere di Catania. Poi ha farfugliato poche parole su «Satana» e sul «male assoluto», segno evidente di una lucida follia.
La notte tra martedì e mercoledì i colpi sordi della Beretta 9x21 d'ordinanza hanno risuonato tetri nella prigione di massima sicurezza di Bicocca. Hanno svegliato i detenuti, oltre 250, tutti in regime di carcere duro, ma anche gli agenti, e gli ispettori della polizia penitenziaria. Mauro Falcone era uno di loro: originario di Piazza Armerina, aveva 39 anni, era sposato e aveva due bambine in tenera età. Completamente allucinato ha ucciso Davide Aiello di 32, anche lui in servizio nella casa circondariale, ufficio di direzione il suo posto.
A poche ore dal delitto il procuratore di Catania Vincenzo D'Agata, ha quasi archiviato il caso, certo di come sono andate le cose: «Un delitto di ordinaria follia». Perché sul conto di Falcone non vi sono nuvole che potessero addensare sospetti di altro genere: l'omicidio - gli investigatori che hanno visto e rivisto decine di volte le immagini catturate da una telecamera a circuito chiuso del carcere - non sarebbe scaturito da fatti collegati al servizio, né da screzi personali tra l'ispettore e l'agente. Tesi che il responsabile del Dap Sicilia, Orazio Farano, ha subito fatto sua parlando di «episodio inspiegabile».
Mauro Falcone aveva sofferto di crisi depressive. Sette anni fa i primi disturbi, iniziati quando era in servizio nel carcere di Giarre. Quattro anni dopo il trasferimento a Catania, nella struttura penitenziaria di Bicocca. E qui ansie e stress non si erano calmati, tanto che meno di due anni fa aveva chiesto licenza per malattia. Assenze sempre puntualmente accompagnate da certificati medici che evidenziavano crisi depressive. Per patologie di questo tipo, come vuole la legge, a Falcone era stata tolta la pistola d'ordinanza, un provvedimento che successivamente però era rientrato. Nel frattempo quattro o cinque volte era stato in visita alla commissione medica ospedaliera militare di Augusta. Che alla fine aveva deciso di reintegrarlo nel suo lavoro. Tornato in servizio, per diverse settimane, Falcone era stato impiegato in ufficio per poi ritornare alle sue mansioni, come ispettore addetto alla sorveglianza del carcere. Martedì sera Falcone aveva finito il turno di servizio a mezzanotte. Dopo si era intrattenuto con i colleghi per oltre un'ora durante la quale ha pure preso un caffè con un amico di lavoro. All'improvviso, come se si fosse ricordato di qualcosa da fare, si è diretto verso la porta d'ingresso e tra i due cancelli di ferro del carcere ha sparato contro Aiello. Dopo, come se nulla fosse successo è tornato nella camerata. A un collega che gli ha chiesto se avesse sentito degli spari, ha detto: «Non è successo niente non ti preoccupare vai a letto».

Quando la polizia è arrivata per arrestarlo, Falcone era sulla sua branda, sdraiato parlava da solo e pronunciava frasi senza senso come «Satana», «il male assoluto». Frasi che ha ripetuto successivamente quando è stato sentito da uno psichiatra al quale avrebbe spiegato così quello che è accaduto: «Io sono il Bene, lui era il Male: quindi il Bene ha vinto sul Male».

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