L’ITALIA DEI VIOLENTI

Si fa presto a dire anarchici-bombaroli. A sfogliare le più recenti analisi dell’Antiterrorismo la galassia degli eredi dinamitardi di Bakunin è frastagliata, di difficile individuazione, «collegata a formazioni similari europee», camuffata dietro sigle improponibili (Fronte rivoluzionario internazionale, Cooperativa artigiana fuoco e affini, Brigata 20 luglio) che si rifanno tutte alla «Fai», che sta per Federazione anarchico informale e non Federazione anarchica italiana, espressione ufficiale dell’ideologia-pensiero dei vari William Godwin o Pierre Joseph Proudhon. Senza star troppo a filosofeggiare, per capire di che razza di gente stiamo parlando occorre tener presente le varie anime del movimento: tra gli anarchici «cattivi» ci sono quelli che ci mettono la faccia, come accaduto a metà settembre quando s'è trattato di picchiare giornalisti e fotografi al «campeggio antimilitarista» dirimpetto la Manifattura Tabacchi di Rovereto promosso per boicottare le esportazioni belliche di Finmeccanica. E proprio a Rovereto, nella culla storica degli anarchici tricolori, sarebbe stata partorita l’idea di prendere di mira la sede di Equitalia in via Halbherr: porta sfondata, accanto la scritta «Basta pagare, rivolta». Alla sede Equitalia di Torino, gli anarchici piemontesi, storicamente collegati ai trentini, potrebbero aver fatto più prove generali per testare i controlli negli uffici periferici con minacce via telefono (il 27 ottobre scorso) oppure inviando buste piene di polvere e cattive intenzioni: «Crepate». Sempre a Torino, a maggio, un gruppo di studenti d’area anarchica aveva tentato di forzare l’ingresso sulla falsariga di quanto provarono a fare un anno fa i «colleghi» anarchici napoletani con gli uffici Equitalia di via Bracco.
Poi ci sono gli anarchici insurrezionalisti che la faccia non ce la mettono perché la coprono con passamontagna e caschi quando si tratta di distruggere santi e madonne com’è capitato a novembre nel centro di Roma, massacrare a colpi di pietre gli agenti in Val di Susa, devastare sedi del Pdl, vedi Firenze, e via discorrendo. La terza categoria appartiene ai fantasmi, a quelli che da anni, prendendo di mira banche e paracadutisti, agenzie di lavoro interinale, tralicci, carceri, ambasciate, multinazionali e obiettivi esteri, si divertono a far danni recapitando pacchi esplosivi. I seguaci della «Fai», con collegamenti in Grecia, Spagna, Svizzera e Turchia, il 9 agosto hanno beffardamente festeggiato i dieci anni di impunità assoluta con un volantino online nel quale preannunciavano nuove azioni e un’escalation di violenza, arrivando a ipotizzare la lotta armata e l’omicidio. Dieci anni culminati con la lettera «a strappo» che il 31 marzo, a Livorno, ha ridotto in fin di vita un parà della Folgore. Dieci anni e non sentirli, sentite qua: «Sono dieci anni che agiamo indisturbati. Il potere colpisce con operazioni repressive sempre più fantasiose ma finora nessuno di noi è mai stato colpito».

D’ora in poi sarà permesso tutto: «L’azione diretta distruttiva - concludono i bombaroli postali - è elemento indispensabile e imprescindibile, e può andare dal lancio di una molotov all’assassinio, senza alcuna gerarchia di importanza, ogni gruppo o individuo deciderà come meglio vorrà. Colpiremo una volta all’anno». E la bomba di ieri vale per il 2011, non per il nuovo anno.

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