«L’Italia? Per noi è la “casa dei suoceri”»

Pubblicità, moda, musica, cinema e letteratura: l’India continua a esercitare un grande fascino sulla cultura, l’economia e la tecnologia occidentali. Che il Subcontinente asiatico sia giovane, vitale e ricco di appeal nonostante le contraddizioni, è cosa nota. Che sia un Paese-fenomeno da tenere d’occhio, pure. La domanda da porsi è un’altra: loro, gli indiani, come ci vedono? Che concetto hanno dell’Europa e dell’Italia dei Mastella, del pattume e dei reazionari anti-papisti? Nell’India del «troppo tutto» - troppe caste, troppe religioni, troppe lingue, troppa povertà, troppo sporco, troppa burocrazia eccetera - le idee sul Belpaese sono poche e vaghe e gli italici guai sono soltanto cosa nostra.
«Per i 400 milioni di indiani che vivono nelle province con meno di due dollari al giorno l’Italia non esiste, ma per loro non esiste neanche Nuova Delhi, perché non escono facilmente dai loro confini» spiega Sunil Deepak, classe 1954, medico nato a Lucknow nel 1954 ma che vive da molti anni a Bologna. È uno tra gli scrittori presenti al convegno «L’odore dell’India. Scritture e narrazioni», organizzato a Torino dal Premio Grinzane Cavour. «Poi - prosegue Deepak - esiste un ceto medio che comprende circa 350 milioni di indiani che è istruito e accede alle informazioni: la maggior parte di loro conosce l’Italia per la moda, il buon gusto e la creatività. Ma soprattutto perché è un luogo sasural, termine che significa “casa dei suoceri”: appunto il Belpaese, dove è nata Sonia Gandhi, la suocera di Indira. Poi magari non sanno dove si trova sulla cartina geografica».
Deepak racconta che i più colti associano l’Italia all’Impero romano in termini di progresso, tecnologia e scienza della guerra. Gli attori cult nell’immaginario collettivo restano Sophia Loren, Marcello Mastroianni e la più attuale Monica Bellucci. Mentre i più giovani che navigano su Internet considerano la Ferilli e la Parietti «un po’ stagionate». E tra gli intellettuali? «A scuola ci hanno fatto studiare Alberto Moravia. Ma tra gli scrittori più famosi figura Umberto Eco».
Che cosa pensi la stragrande maggioranza degli indiani dell’Occidente lo spiega Vikas Swarup, diplomatico e scrittore nato ad Allahabad (India del Nord): «L’India, è sotto gli occhi di tutti, sta vivendo un’epoca di organizzazione, globalizzazione e occidentalizzazione. Tutto cambia velocemente, i giovani sono ipertecnologici e iperconsumistici, guardano Mtv, si vestono alla moda mentre aumentano i debiti con le banche per poter andare in vacanza. Certo, molti valori occidentali sono indiscutibili, ma devono convivere con i nostri valori migliori: parlo di rispetto nei confronti degli anziani che non devono essere abbandonati a se stessi; parlo del rispetto per gli insegnanti da parte degli studenti e parlo del valore del risparmio: i soldi non vanno buttati via in modo inutile. Penso che una sinergia con i nostri valori più nobili sia auspicabile».
Infine chiediamo a Altaf Tyrewala, classe 1977, che vive a Bombay, che cosa pensa della nostra letteratura (un suo racconto appare nel libro collettaneo in uscita in marzo da Isbn Edizioni: Dieci scrittori dalle nuove megalopoli): «Personalmente ho letto e apprezzato Roberto Calasso: mi è piaciuto molto il suo libro Ka. Amo molto anche Italo Calvino, mi ha ispirato la sua straordinaria capacità di scrittura. Detto questo gli indiani conoscono poco la letteratura italiana. Per ora i vostri libri vengono tradotti poco e non hanno una grande diffusione. In genere si leggono per passaparola. Presumo che con il tempo le cose cambieranno. Certo, ci vogliono investimenti e impegno per farli conoscere e dare loro visibilità.

La letteratura è un’occasione importante per esplorare e capire nuovi mondi».
Una bella sfida per una Shining India al di là dei cliché, di Bollywood, dei matrimoni combinati, del misticismo folkloristico e delle derive del progresso.
m.gersony@it

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