L’odissea quotidiana di Parazzoli fra gli «zombie» di piazzale Loreto

«Piazza bella piazza» chiude la trilogia urbana dello scrittore

Ferruccio Parazzoli ha terminato con questo Piazza bella piazza (Mondadori, pagg. 172, euro 7,80) una grande trilogia urbana. Tutto è accaduto a Milano, zona nord est, tra piazzale Loreto e gli immediati dintorni. Zona dove si raccordano arterie in entrata e in uscita dalla città, zona zeppa di banche, uffici, negozi, centri di vendita, internet points. Dove passano e talvolta si fermano impiegati, pensionati, studenti, badanti, ambulanti, accattoni a cielo aperto. Sotto, la linea verde della metropolitana interseca la rossa e (aggiungo io) fra non molto il terreno verrà per l’ennesima volta sventrato e si scaverà spazio a un maxiparking sotterraneo.
Dunque, in piazzale Loreto la costruzione dei luoghi aperti e di quelli chiusi quasi si confonde, l’alto e il basso si incrociano e, a volte, il giorno e la notte, la luce e la tenebra si scambiano le tinte provocando un’atmosfera d’indistinta, inquietante, tetra, caravaggesca surrealtà. Nella zona vivono o sono vissute creature in qualche misura ambigue, stralunate, deviate. L’edicolante gobbo-testimone, la prostituta, il cronista di nera che incontrerà il demonio, la sciamana delle periferie, l’emigrato dallo Shael innamorato dell’icona d’una martire nella chiesa parrocchiale. Creature, in senso letterale, dissolute perché parti d’un mondo in viaggio verso la dissoluzione, la decomposizione. Forse, creature già terminali, zombies.
È noto: il grottesco, il bizzarro possono essere letti come varianti del mostruoso, come le colorazioni di tutto quanto si viene incancrenendo, putrefacendo. E allora l’imminente o conclamatissima follia che circola o incombe in queste storie metropolitane rappresenta l’essenza d’una umanità composta non da vivi ma da semivivi. Perché semivive (o semimorte) sono, in verità, le figure installate tra piazzale Loreto e i suoi immediati dintorni: poveracci dai gesti automatizzati, uomini dotati di corpi quasi sfasciati, soprattutto di teste che una volta, forse, pensavano o ragionavano o sognavano e ora delirano, sragionano, al meglio confondono i sogni per i pensieri. Eppure, sono capaci di intuizioni altissime, verticali. Con punte di saggezza isterica, paranoica.
L’umanità di Parazzoli, allora, è una corte dei miracoli globale, una danza macabra universale in cui anche Dio e demonio prendono parte. Perché piazzale Loreto è il centro d’un mondo che ha perso non solo ogni fede, ma anche e soprattutto ogni forma di fiducia in sé, di stabilità morale. E va avanti per pura forza d’inerzia, destrutturandosi attraverso metamorfosi a ripetizione. Dove non si afferra più chi o che cosa è comico, chi o che cosa fa ridere, chi o che cosa fa pietà.

Tutto, proprio tutto affonda in un calderone infernale, notturno. In un precollasso eterno e assoluto. O meglio: in una caricatura dell’eterno. Dove nulla, proprio nulla fa pensare che qualcuno, un giorno, sarà in grado di risalire, tornare indietro.

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