La svolta ancora non cè, ma se ne intravede lombra. Unombra diafana, disegnata tra palazzi di una capitale dove non cè più traccia del Colonnello. Unombra tratteggiata dai focolai di rivolta che, secondo fonti ribelli, dilaniano la capitale. Unombra che sallunga da Misurata, dove i governativi battono in ritirata, fino allAia dove la Corte internazionale distilla i capi daccusa per arrestare Gheddafi e la sua famiglia. Unombra che ispira anche la richiesta di cessate il fuoco formulata ieri dal segretario generale dellOnu Ban Ki-moon.
Su questi quattro o cinque coni dombra va ricercata la possibile soluzione al conflitto libico. Una soluzione evocata dal ministro degli Esteri Franco Frattini che indica nelle «moltissime defezioni» nel regime «il probabile punto di svolta». Fra quelle defezioni brilla lassenza di un Colonnello svanito nel nulla dal 30 aprile quando le bombe della Nato uccidono suo figlio Saif Al Arab. Un colonnello di cui Silvio Berlusconi dice di non saper nulla e di cui invece la Casa Bianca rifiuta di dar informazioni. A dar retta al solitamente ben informato vescovo di Tripoli Monsignor Giovanni Innocenzo Martinelli, Muhammar Gheddafi non sarebbe però morto. «Forse è ferito, forse si è rifugiato in una zona sicura, sicuramente è scosso. Ma di certo è vivo» assicura il prelato. La certezza di monsignor Martinelli «deriva innanzi tutto dal fatto che non vi sono segnali contrari». Se il colonnello fosse deceduto «sicuramente ne avrebbero annunciato la morte. Nel mondo arabo-musulmano una cosa del genere non si può nascondere» assicura il vescovo. E in serata la tv di stato libica ha mostrato le immagini di Gheddafi in un hotel di Tripoli: un filmato senza data ma - secondo quanto sostenuto dallannunciatore - girato nella giornata di ieri.
Limprovvisa evanescenza del rais potrebbe però essere il sintomo di una situazione deteriorata, ormai prossima a sfuggirgli di mano. Forse, come sostengono i ribelli, Gheddafi si è spostato nel deserto di Ash Shurayf, 400 chilometri a sud della capitale da dove è facile fuggire verso il Ciad. Forse sta valutando se ascoltare le voci di quanti tra figli e fedelissimi gli chiedono di lasciare. Forse è impegnato in una difficilissima partita con i «Bruti» di famiglia e i Badoglio di corte pronti a consegnarlo al nemico in cambio di un armistizio e unamnistia.
La proposta di «cessate il fuoco» riformulata allimprovviso dal segretario generale dellOnu potrebbe inserirsi in questo scenario. Ban Ki-moon cita il primo ministro libico Baghdadi al Mahmoudi come referente di una iniziativa discussa telefonicamente. Lesplicita citazione di un premier la cui autorità negoziale sarebbe - in una situazione di normalità gheddafiana - pari a zero rafforza il sospetto di un rais meno influente e di un Al Mahmoudi pronto ad accettare il ruolo dinterlocutore. Ad incrinare la compattezza dellanello di comando gheddafiano contribuisce anche lalacrità di una Corte internazionale pronta a formulare entro fine mese i capi dimputazione indispensabili per procedere allarresto del rais e dei suoi famigliari.
«Ci sono paesi che hanno indirettamente dato la disponibilità ad accogliere il Colonnello e la sua famiglia, se scattasse un ordine di arresto internazionale sarebbe molto più difficile - ricorda il ministro Frattini - trovare un accomodamento di questo genere... credo che si cominci a comprendere che vi sono pochi giorni per decidere». Il cessate il fuoco, per quanto già rifiutato dai ribelli e inflazionato dalle offerte mai rispettate del regime, resta uno dei passi indispensabili per mettere fine ai bombardamenti iniziati dopo lapprovazione della risoluzione 1973 sulla «no fly zone». Un cessate il fuoco mediato dallOnu rappresenta, infatti, la condizione necessaria e sufficiente per far smettere i bombardamenti e far ripartire la trattativa.
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