L’orgoglio tradito dei gay: "Marchiati dalla pubblicità"

La reazione dopo la campagna della Regione Toscana: "Una provocazione che ci può soltanto danneggiare". Il dibattito: L'amore, un destino scritto nei cromosomi. No, le scelte sessuali sono un libero arbitrio

L’orgoglio tradito dei gay: 
"Marchiati dalla pubblicità"

«Non è il caso di arrivare a fare uno spot di quel genere». Così il cardinale Tarcisio Bertone, Segretario di Stato vaticano, ha risposto a una domanda sulla pubblicità diffusa dalla Regione Toscana che ritrae un neonato con la scritta al polso «homosexual», omosessuale. «Questa è una cosa un po’ strana - ha affermato il principale collaboratore del Papa a margine della presentazione di un concerto per l’ospedale Bambin Gesù che si terrà il 20 novembre in Vaticano -, non è il caso di arrivare a questo punto».

Per tutta la giornata di ieri reazioni, polemiche, risposte di politici si sono susseguite sull’argomento. Ma è interessante notare che più di un dubbio sull’opportunità di quella campagna pubblicitaria proviene proprio da persone che non nascondono di essere gay. È il caso, ad esempio, di Cristiano Malgioglio, cantante, autore musicale e showman: «L’ho trovata di cattivo gusto, mi dispiace che a qualcuno sia venuta in mente - spiega al Giornale - perché credo che vadano sempre evitate le etichette, che alla fine non fanno comodo a nessuno». Malgioglio ci tiene a dire che «uno non nasce già omosessuale, scopre di esserlo col tempo e deve riuscire ad accettarsi. Un bambino, per non parlare del neonato della foto, non si capisce se sarà omosessuale o eterosessuale. Io, ad esempio, ho scoperto la mia vera identità sessuale quando avevo 23 anni. La campagna pubblicitaria ha lo scopo di sensibilizzare l’opinione pubblica contro la discriminazione? Beh, la trovo del tutto inadeguata e personalmente mi dà fastidio. Credo sia sbagliato marchiare la persona solo per la sua identità sessuale».

Contrario è anche Stefano Campagna, giornalista del Tg1, che qualche tempo fa ha fatto outing sulla sua identità sessuale. «È sbagliato usare un bambino per una campagna del genere - afferma -, innanzitutto perché i bambini non dovrebbero essere utilizzati per le campagne pubblicitarie e poi perché, nel caso specifico, l’identità di un neonato non è ancora definita. Personalmente ho scoperto la mia omosessualità a 22 anni».

«I gay - continua il giornalista - hanno bisogno di ben altro che di queste provocazioni. Ci sarebbe bisogno che calciatori, attori, persone note non si facessero problemi a manifestare apertamente le loro tendenze sessuali. Ciò a cui dobbiamo arrivare, a mio avviso, è far abituare la gente al fatto che ci sono tante persone omosessuali. Ha fatto molto di più per noi quella pubblicità delle caramelle Vigorsol, dove si vedeva un ragazzo che dopo averne mangiata una si metteva a ballare con un altro ragazzo perché quella pastiglia “cambia il gusto della vita”».

Sdegnata la reazione del filosofo Gianni Vattimo che ieri ha dichiarato al Corriere della Sera: «Mettere questa etichetta spinge a pensare che gli omosessuali siano una razza. Ma se si è una razza possono scattare i meccanismi tipici di esclusione, cioè il razzismo».

Favorevole invece allo spot pubblicitario della Regione Toscana il conduttore televisivo Fabio Canino. «Innanzitutto - spiega - bisogna ricordare che la campagna nasce in Canada ed è stato il Quebec a regalarla alla Regione Toscana. Dunque fuori dal contesto in cui era stata pensata può produrre effetti diversi. È vero che c’è il rischio di una strumentalizzazione, cioè quello di far coincidere la persona con la sua identità sessuale. Ma non bisogna sottovalutare l’aspetto della provocazione. Finché davvero in Italia non ci si renderà conto che l’identità sessuale è una delle componenti della personalità, ci sarà bisogno di campagne come questa.

Finché in Italia si continuerà a citare il mio nome sui giornali come “Fabio Canino, gay dichiarato...” mentre di Paolo Bonolis non si sente il bisogno di scrivere “eterosessuale dichiarato”, beh c’è necessità di campagne come quella, anche a costo di correre qualche rischio».

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