Verona - Visto dal balcone di Giulietta, il partito democratico sembra un generale senza truppe, cioè impotente. Ha il petto pieno di medaglie: primo partito di Verona (17,4 per cento), candidato più votato (1.457 preferenze per Roberto Fasoli, barbuto ex segretario della Cgil scaligera), gruppo più consistente in consiglio comunale (9 seggi). Anche un anno fa, alle elezioni politiche che fecero vincere Romano Prodi, lo stesso Ulivo era il primo partito, ma con il 27,7 per cento: oltre 10 punti in più. E Rifondazione aveva il 4,3, mentre lunedì è crollata all’1,2. Beffata addirittura dai Comunisti italiani, che con il 2 per cento dei voti hanno strappato un consigliere comunale che Rifondazione non avrà. La linea dura di Diliberto frutta più dell’immagine sbiadita di Bertinotti, che stando al governo sembra aver dimenticato la lotta.
Ma il giorno dopo il trionfo del leghista Flavio Tosi, è la frana dell’Ulivo che impressiona, l’embrione di partito democratico non ancora nato e già agonizzante. Cinque anni fa, quando vinsero divisi, la Margherita ottenne il 13 per cento e i Ds (assieme a Sdi e Pdci) il 12,4. Oggi, uniti, sono stati bastonati dopo aver governato per cinque anni Verona. E non possono scaricare nulla sul sindaco sconfitto, l’avvocato Paolo Zanotto: la sua lista civica è rimasta sostanzialmente stabile (è perfino salita di poco, dall’8,9 per cento del 2002 al 9,3), segno che il primo cittadino uscente ha mantenuto i suoi voti anche se non ha saputo far fruttare il consenso che di solito accompagna il sindaco in carica. Ma lunedì sera, verso mezzanotte, al termine delle dirette televisive con Porta a porta e Primo piano, Zanotto ha lasciato il municipio di Verona a testa bassa, in silenzio, accompagnato dalle urla dei leghisti e dalle due addette stampa, non dai leader ulivisti che l’hanno lasciato completamente solo.
Hai voglia a parlare di «questione settentrionale» del centrosinistra. «Uno tsunami non si può fermare con le mani», taglia corto l’ex sindaco dc Enzo Erminero. Fasoli, che a Verona presiede l’Associazione per il partito democratico, ammette: «Tosi è stato votato anche da una parte dell’elettorato popolare di sinistra. La flessione dell’Ulivo è indiscutibile. Non abbiamo alibi. Non possiamo più rinviare, dobbiamo trovare soluzioni ai problemi del Nordest». «Questo risultato è un segnale ai nostri governanti - dice Franco Bonfante, segretario provinciale Ds -, devono ascoltarci più di quanto hanno fatto finora».
Flavio Tosi ha passato la giornata a Palazzo Balbi, a Venezia, per la sua ultima giunta regionale da assessore alla Sanità, e le segretarie gli hanno addobbato gli uffici con cartelli e palloncini colorati. Nel tardo pomeriggio, incontro con i giornalisti nel suo ufficio, cioè ai tavolini del bar trattoria «Filò» vicino al casello autostradale di Verona Sud, dove ha ribadito il giro di vite sulla sicurezza in tempi brevissimi. Tosi manterrà la delega, applicherà la tolleranza zero verso i clienti dei vu' cumprà (multe di 500 euro), darà incarichi meno burocratici ai vigili e più contatto con la gente, e se il bilancio del Comune impedirà l’assunzione di altra polizia municipale saranno presi accordi con società di vigilanza privata.
Il risultato definitivo è del 60,7 per cento a favore del leghista contro il 33,9 di Zanotto; nessuno degli altri nove candidati sindaco ha raggiunto il 3 per cento che garantisce il seggio nel nuovo consiglio, che sarà monopolizzato da Tosi: oltre al plebiscito personale, avrà otto seggi la lista che porta il suo nome mentre sua sorella Barbara è stata la leghista più votata, 1.456 preferenze, una in meno del recordman Fasoli. In consiglio comunale il centrodestra occuperà 30 seggi su 46: otto lista Tosi, otto Forza Italia, sei Lega, sei An, due Udc.
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