L’ultima guerra di Franceschini: sparare sul partito dell’amore

RomaQuando a metà anni Novanta i cronisti lo vedevano in coppia con Renzo Lusetti scendere le scale di palazzo Cenci Bolognetti a Piazza del Gesù - storica sede della Dc prima e del Ppi poi - erano in molti a scommettere su quell’accoppiata di giovani democristiani. E nessuno avrebbe immaginato che, di lì a dieci anni, un altro giovane con lo scudo crociato nel dna come il neosindaco fiorentino Matteo Renzi, gli avrebbe consegnato una patente di inaffidabilità politica. «Hanno scelto il vicedisastro», disse commentando l’elezione di Dario Franceschini alla guida del Pd.
E il riferimento non era un caso. Se Franceschini è il vice, il titolare del «disastro» è Walter Veltroni, al quale l’attuale capogruppo del Pd alla Camera si è legato mani e piedi, condannandosi a seguirne, come un pesce pilota, i complessissimi percorsi e le giravolte politiche. Alle guerre di posizione in stile Botteghe Oscure, Veltroni è abituato, lui un po’ meno. L’ultima svolta è quella che, con l’elezione di Pierluigi Bersani a segretario del Pd, ha fatto tornare Veltroni su posizioni simili a quando era leader del cosiddetto Correntone. Solo che questa volta, per smarcarsi dal rivale Massimo D’Alema, invece di spostarsi a sinistra, l’ex sindaco di Roma ha organizzando un’area filo dipietrista dentro il partito del centrosinistra. A Franceschini non è restato che adeguarsi.
L’ex comunista Bersani fa qualche tentativo di normalizzare il confronto politico? Lui, ex Dc, pianta i paletti per fermare la deriva moderata del Pd. Repubblica alza la palla, trasformando un’elucubrazione di D’Alema su Togliatti in un elogio dell’inciucio? Franceschini è subito pronto a schiacciare e boccia qualsiasi tipo di intesa sulla giustizia, confermandosi portavoce del giornale-partito che fa infuriare lo stesso D’Alema, convinto che il quotidiano punti a spaccare il Pd e disarcionare Bersani. La nuova segreteria del Pd cerca di smarcarsi da Di Pietro? Franceschini scende in piazza insieme al «popolo viola» del «No Berlusconi day», che ha creato imbarazzi persino tra i dipietristi.
Dalle convergenze parallele alla polarizzazione estrema; dal Biancofiore (simbolo d’amore), alla leadership dell’anti «partito dell’amore»: «La durezza dello scontro politico non ha niente a che fare con la violenza o la mancanza di rispetto. Semmai è sintomo di una democrazia sana».
Al Corriere della Sera denuncia tentativi di fare «pasticci e scambi» poi rilancia da Repubblica e spiega che «lo schema per cui loro (il centrodestra ndr) si fanno da soli le leggi ad personam e poi con noi fanno le riforme istituzionali, non sta in piedi». Sembra un attacco al Pdl, ma è pura lotta interna. Una risposta a D’Alema che sabato ha sostenuto la tesi opposta: le riforme importanti vanno fatte insieme, quelle indigeste alla sinistra, invece, le può fare il centrodestra se trova la maggioranza.
Moderato da giovane, radicale nella maturità, Franceschini non avrebbe mai pensato di dover subire le rampogne di uno che sventolava la bandiera rossa come Nicola Latorre che lo ha accusato di essere vittima del «solito conservatorismo del centrosinistra». E lo ha richiamato all’ordine: «Fa il capogruppo e sa perfettamente che deve conciliare le sue posizioni personali con questo suo ruolo, perché la linea del partito non si cambia».
Come sempre succede in questi casi, le conclusioni le hanno tirate quelli del campo avverso. «Franceschini parla come se la corsa alla segreteria del Pd fosse ancora aperta e non conclusa. Bersani ha la forza di chiudere il congresso? Quelli di Franceschini non sono sottili distinguo ma paletti pesanti posti all’azione di Bersani», ha constatato il vice presidente dei deputati del Pdl Osvaldo Napoli. L’escludere le leggi che riguardano la giustizia, equivale a porre delle pregiudiziali. E l’esercizio delle pregiudiziali, osserva il presidente dei deputati Pdl Fabrizio Cicchitto, «viene effettuato in genere da chi vuole bloccare qualunque processo di riforma, inevitabilmente articolata e complessa». Sempre nel Pdl c’è chi mette in evidenza le differenze tra il Franceschini d’annata e quello di oggi. Il confronto che lui vuole spegnere sul nascere, spiega il ministro ai Beni culturali Sandro Bondi, «è auspicato anche dalla Chiesa Cattolica».

Mentre Franceschini è ormai perso nelle «tesi più estreme del dibattito politico». Alternativo al Pdl, sicuramente. Antitetico al «partito dell’amore». Scontato. Ma anche su «una posizione alternativa a quella rappresentata da Bersani».

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