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L’ultima scommessa di Signori «Vedrete, io non c’entro nulla»

È il solito film. Può essere il capo dei capi, può essere preceduto dalle più truculente indiscrezioni, ma quando il lucifero di qualunque inchiesta si mette a nudo diventa un'altra cosa. Un'altra persona, un'altra figura. Così Beppe Signori, dopo due settimane ai domiciliari. Quando entra nei locali della conferenza stampa è ancora il demonio che venderebbe qualunque cosa, persino se stesso e la sua inimitabile carriera sportiva, per un gruzzolo di denari. Poi, però, il film intraprende la consueta trama: prima lacrime e silenzi, quindi l'applauso di parenti e amici che sgela la brina, a seguire il crescendo di distinguo, di chiarimenti, di accorati perché. Fino alla solenne proclamazione d'innocenza. Pure stavolta, non ci piove. Non è più l'Italia forcaiola contro l'Italia garantista: è la verità falsa dell'inchiesta contro la verità vera di Beppe Signori, vittima e martire - così specifica lui stesso - «di un massacro mediatico».
«Ancora fatico a capire. Un bel giorno mi trovo in treno e vedo su un sito la mia foto. Mi danno in manette. Poco dopo mi raggiunge un giornalista per telefono. Sono confuso, chiedo pietà. E il giorno dopo leggo di aver già chiesto scusa…». Invece non deve chiedere scusa di niente. La sua unica colpa? Non proprio una colpa: al massimo un errore, tò, una leggerezza. «Su 50mila telefonate, non ne esiste una sola di Beppe Signori. Io pago soltanto per essere andato il 15 marzo dai miei commercialisti, dove c'erano persone che non conoscevo. È lì che nasce tutto questo tran tran. Non ho fatto che ascoltare. E forse, ingenuamente, scrivere alcune condizioni. Volevo capire a cosa servisse la mia presenza. Servivo da garante, per avvicinare giocatori di serie A. Quel papello con le mie condizioni? Solo appunti. Ma vi pare che se fosse qualcosa di scottante lo lascerei in casa per due mesi? E poi, se io detto condizioni, il foglio non sta a casa mia, ma in casa di chi deve accettarle, o sbaglio?».
Beppe-gol comunque ricorda per filo e per segno come finì quell'incontro nel lussuoso studio legale, centro storico di Bologna: «Ho risposto che certe cose non le facevo». Ma perché non denunciare il fatto, allora. «Avrei dovuto denunciare un tentativo eventuale di combine, facendo una figura meschina?».
Alle volte, effettivamente, si fanno pure di queste figure, per amore di verità. Ma comunque c'è tipo e tipo: Signori di queste figure non ne vuole fare. «Si dice - prosegue accorato - che avrei giocato 60mila euro su Atalanta-Piacenza. Non mi ritengo così stupido. E i 150mila su Inter-Lecce: secondo le intercettazioni doveva essere 4-0, è finita 1-0. Evidentemente non c'era niente». Evidentemente.
Basta starlo ad ascoltare, c'è una spiegazione solare e immacolata per tutto. «Gli assegni? Chiunque ha assegni in casa. Io non ho mai dato o ricevuto né soldi, né assegni, di questa storia». I cinesi portati nel ritiro di Bologna, sospettati d'essere papponi del giro orientale? «Ma dove, ma quando: sono giornalisti che avevo conosciuto lavorando per una tv cinese durante i mondiali. Sono venuti qui per uno stage, abbiamo parlato di una possibile amichevole in Cina. Poi siamo andati a vedere Milan-Bologna. Punto».
Quanto invece alla sua fama, universalmente nota, di scommettitore incallito, è evidente: qualcuno ha manipolato la verità, deformandola diabolicamente. «Certo che mi piace scommettere: ma soldi miei, regolari. Poi mi emoziono vedendo come va. Non credo sia reato. Certo, tutti ricordano la mia scommessa del buondì: sono sfide così, posso mangiarlo in trenta passi, è questo il mio genere di scommesse…».
Un giocherellone, via. Beppe Signori ammette al massimo un vezzo, nient'altro. Tutto il resto è «massacro mediatico». Calunnia, persecuzione. E tanta amarezza. «Avevo due contratti, uno con Mediaset come commentatore, uno come testimonial dell'agenzia di scommesse Sky365, neanche a farlo apposta. Niente, chiederò di fermare tutto. Dal calcio girerò alla larga, per un po'…». Ma sia chiaro, non è una resa. Quando tutto sarà finito, Signori ripartirà in contropiede: «Mi hanno distrutto trent'anni in quindici giorni. Qualcuno me li dovrà restituire…».
Titoli di coda: anche questo film finisce così, come gli altri del genere, con il grande accusato che se ne va da grande accusatore. Dopo il buondì, Beppe-Gol passa alla nuova scommessa, l'ultima. Punta sulla sua pulizia.

Si gioca tutto.

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