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L’ultima a stelle e strisce: sotto canestro in topless

Per cercare di rovinare uno sport e la sua reputazione non c'è bisogno del clan degli zingari: basta molto meno, basta a volte inserire l'eterno femminino, l'appeal della mutanda, l'occhiolino di una scollatura. Al peggio non c'è mai fine, e tra i numerosi tentativi di imitazione del minimo comune denominatore spicca adesso la decisione di Dennis Rodman di fondare una squadra di basket in topless, con la sponsorizzazione dell'Headquarters' Gentlemen's Club. Trattasi di locale newyorchese dal nome pomposo ma che altro non è che un tavernone di lusso dove l'esibizione delle parti più tondeggianti del corpo femminile viene utilizzata come magnete per presunti vip, tra cui lo stesso Rodman. Frequentatore, si legge, da 30 anni, e qui qualcosa non quadra: l'ex superbo rimbalzista e difensore dei Chicago Bulls è del 1961 e 30 anni fa abitava squattrinato in Oklahoma.
Forte di un teorema a prova di bomba («non conosco tanti uomini cui non piacerebbe vedere una bella ragazza correre su un campo da basket»), Rodman ha organizzato un provino per aspiranti cestiste, che verranno sottoposte a una selezione basata su criteri non proprio rigidi se non quello dell'altezza (almeno 1.78): «Basta avere un po' d'esperienza e avere un'idea di come si infili la palla nel buco». L'abbigliamento - termine generoso - consisterebbe in pantaloncini o gonnelline e canotte senza nulla sotto, da rimuovere però all'entrata in campo, dove certamente il termine "rimbalzo" non verrà più associato solo a termini prettamente tecnici.
L'idea non è originale, e comprova la teoria secondo cui quando si escogita qualcosa di squallido c'è sempre chi riesce a fare peggio. Nei mesi del lockout Nba a lanciare addirittura un mini-torneo di poppute era stato Spud Webb, che ferme le attività dei Texas Legends, la squadra della lega minore gestita dalla Nba stessa, aveva messo su la Rick's Basketball Association sponsorizzata dalla Rick's Cabaret, che gestisce locali notturni. La Rba si è fermata non appena il lockout è finito e Webb è tornato alla scrivania come se niente fosse, lasciando dunque campo libero all'iniziativa della HQ: della quale in Usa agli appassionati di sport non importa niente, e non per nulla se n'è parlato per la prima volta nella Page 6 del New York Post, la pagina di gossip.

Tutta pubblicità e poca sostanza, obiettivo riuscito se è vero che ne stiamo parlando pure qui.

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