L’ultimo Paese dove non si divorzia

Tutta colpa di Jeffrey Pullicino dicono ora i cattolici. Se Malta avrà una legge sul divorzio è per la proposta di legge che lui, deputato nazionalista, aveva presentato a luglio. La lotta dei cattolici era diventata subito una crociata spalleggiata dal conservatori del Partito Nazionalista. Il fronte del «no» sulle barricate aveva tappezzato La Valletta di manifesti. Preti in prima linea che negavano la comunione a chi confessava di votare per il sì, prediche feroci e aggressive per convincere i fedeli. Dall’altra parte i socialisti, all’opposizione, ferventi sostenitori di una nuova legge sul matrimonio.
Ieri Malta ha voltato pagina. Restano solo le Filippine e Città del Vaticano gli unici Paesi al mondo dove non è consentito divorziare. Nelle Filippine per nessuna ragione al mondo è consentito separarsi, qui il sacro vincolo è ancora a tutti gli effetti indissolubile e la formula: fin che morte non ci separi è vera davvero. Ai circa 100 milioni di filippini è permesso l’annullamento del matrimonio o la separazione legale, ma non il divorzio. L’unica eccezione riguarda i musulmani (il 5% della popolazione) ai quali, in particolari circostanze, il codice di famiglia permette di divorziare. Eppure, negli ultimi anni, soprattutto dall’elettorato femminile, sono giunte le prime rivendicazioni del diritto al divorzio. Nel luglio scorso, due deputate del Gabriela Women’s Party, partito che difende i diritti delle donne, proposero al Congresso nazionale una legge «per introdurre il divorzio nelle Filippine»: «La realtà ci dice che esistono molti matrimoni falliti e infelici nella nostra società», spiegarono. L’iniziativa fece scalpore ed ebbe un certo seguito. Alla fine, però, fu bocciata. «Legalizzare il divorzio incoraggerebbe la distruzione del sacro istituto della famiglia», sentenziò la maggioranza dell’assemblea. Il Gabriela Party non si è arreso e continua a lottare.
Ieri Malta, dopo un testa a testa durato mesi ha scelto di cambiare. Il referendum è passato con circa il 52per cento dei voti favorevoli. Il primo ministro Lawrence Gonzi, contrario al divorzio ieri ha ammesso: «Abbiamo perso, accettiamo il verdetto dei maltesi. Il Parlamento rispetterà il volere del popolo e lavorerà alla legge per la sua introduzione». Fine di un’epoca.
I 330mila maltesi che sono andati a votare si sono voluti allineare al resto del Mondo. Eppure il Paese più piccolo dell’Unione europea ha una lunga tradizione cattolica, il 95per cento, e l'influenza della Chiesa è molto forte nel Paese, dove anche l'aborto è illegale. A guidare la campagna antidivorzista era stato l’avvocato Andrè Camilleri, convinto che un «sì» alla nuova legge avrebbe ridotto il numero dei matrimoni. Noi riteniamo che «una giusta preparazione al matrimonio e un adeguato supporto» porterebbero ad una riduzione dei fallimenti matrimoniali, spiegava prima del referendum. Di tutt’altro avviso era Deborah Schembri, madre single di 35 anni, alla guida del fonte favorevole al divorzio. Lei invitava a non chiudere gli occhi di fronte alla realtà. «Gli aspetti negativi della rottura matrimoniale sono già fra noi. Chiunque conosca i procedimenti davanti al tribunale per la famiglia potrà dirlo», spiega. Il fronte pro-divorzio ha fatto molta campagna su Facebook e altri social forum di Internet. Lo stesso era successo nel 2004 in Cile. Gli spot pubblicitari per il no erano passati in televisione a tutte le ore.

In trenta secondi si cercava di avvertire e minacciare: «Con il divorzio aumenterebbero il consumo di droghe e alcol tra i figli dei genitori separati». E ancora «Il Cile vuole una famiglia unita. Non dividiamola». Ma alla fine avevano vinto i divorzisti. Come ieri a Malta.

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