
I punti chiave
Dall'attizzatoio, al supertestimone, fino all'impronta 33: nel caso Garlasco non si contano i colpi di scena e le svolte decisive nelle indagini. O presunti tali. Sono quotidiani e, complice il faro mediatico sulla vicenda che ha pochi precedenti nella cronaca recente, hanno grande eco. Solo che poi, a volte nel giro di meno di un'ora, spesso vengono smontati da un banale riscontro. Da quando l'indagine è stata riaperta, con Andrea Sempio nuovo presunto colpevole, è anche con questi colpi che si sta provando a far crollare la verità giudiziaria acquisita. Si rimette in discussione ogni aspetto: ora del delitto, arma, presunto movente... E arrivano nuove perizie e consulenze tecniche che si aggiungono alle quasi 40 - calcola Adnkronos - fatte in otto anni e in cinque processi. Ecco alcuni esempi di svolte investigative durate lo spazio di un lancio d'agenzia.
L'ATTIZZATOIO
All'alba del 14 maggio a Garlasco scattano le perquisizioni dei carabinieri. Si cerca, tra l'altro, l'arma del delitto, mai spuntata finora. Più precisamente: si cerca l'attizzatoio del camino di casa Poggi, dicono le notizie che arrivano in diretta. Se ne deduce che sia questa la nuova ipotesi sull'oggetto usato per colpire alla testa Chiara Poggi (anche se il medico legale ha stabilito che le ferite sono compatibili con un martello o, meglio, con una mazzetta da muratore). Non fosse che in meno di un'ora arrivano i lanci d'agenzia con le frasi della mamma della ragazza uccisa: «Il nostro attizzatoio? È ancora qui, è sempre stato qui in questi 18 anni».
L'IMPRONTA 33
Doveva essere questa traccia la vera pistola fumante. Il 20 maggio il Tg1 rivela che l'impronta palmare rilevata sulla parete destra della scala di casa Poggi che porta in cantina è stata attribuita dalla Procura di Pavia, grazie a nuove tecniche, a Sempio. «È logico-fattuale che appartenga all'assassino», scrivevano i carabinieri in una informativa del 2020. Dunque, se due più due fa quattro, Sempio è l'assassino. Il problema è che un'impronta digitale (così come una traccia biologica) non è databile e se la «33» non è sporca di sangue di Chiara, non è neppure collocabile al momento del delitto. Nel 2007 i test scientifici avevano escluso la presenza di sostanza ematica, oggi si vorrebbe ripetere l'analisi per trasformare la supposizione in prova, ma la strada è in salita. Spiegano gli esperti che le probabilità di ritrovare quel pezzo di intonaco asportato dal muro oppure l'estratto del Dna ottenuto 18 anni fa sono vicine allo zero. Anche meno quelle di trovarci tracce biologiche ancora analizzabili. Non solo. Allo stato dell'arte, la ricostruzione dell'omicidio dice che l'assassino, con le mani insanguinate, non ha sceso le scale, ma ha gettato il cadavere fermandosi sulla porta. L'impronta 33 però si trova all'altezza circa del quinto scalino verso il basso, vicino al corpo. Ieri è arrivata la versione un po' «aggiustata»: il killer avrebbe lasciato l'impronta sporgendosi e appoggiandosi alla parete. La distanza porta-quinto scalino non è breve, anche se in effetti la scala fa una curva. Vedremo che vita avrà questa nuova ipotesi.
IL MESSAGGIO
«Abbiamo incastrato Stasi»: così scriveva Paola Cappa a un amico poco dopo l'omicidio della cugina. Da qui la pioggia di sospetti. Forse le gemelle Cappa c'entrano con l'omicidio e hanno messo in mezzo un innocente? Per nulla. Leggendo il messaggio nel contesto, si è capito che nel tentativo di indurre Stasi a contraddirsi, i carabinieri avevano chiesto a Paola Cappa di fargli domande sul ritrovamento del corpo di Chiara e su altri dettagli.
IL SUPERTESTIMONE
È spuntato 18 anni dopo i fatti e ha parlato alle Iene.
Il suo racconto: una donna gli ha riferito di aver visto poco tempo dopo il delitto Stefania Cappa, agitata, entrare con un borsone pesante nella casa della nonna materna a Tromello. Poi il rumore di qualcosa gettato nel fosso. È così che nasce l'operazione del 14 maggio in cui viene dragato il canale di Tromello. Anche qui però c'è un ostacolo: tutti i presunti testimoni oculari sono morti.