Io nacqui a debellar tre mali estremi:
tirannide, sofismi, ipocrisia.
Tommaso Campanella
Sabato 9 aprile 2005, l’Unità rimarcava la sconfitta elettorale di Berlusconi, apostrofandolo «Caro Estinto».
Premesso che sono pronto a combattere e morire pur di garantire libertà di parola a tutti - con la sola eccezione, motivata, di tanti, troppi esponenti del centrodestra, i quali dovrebbero con miglior frutto impegnarsi silenti sulle zolle incolte - mi si permetta di osservare che quel «Caro Estinto» non è mera caduta di stile. Fatto è che da tempo monta un'atmosfera intossicata con picchi feroci - evocati e invocati - tipo il bestiale vilipendio di piazzale Loreto.
Un tale Giuseppe Caruso pubblica un libro (Chi ha ucciso Berlusconi) che racconta per filo e per segno la deriva omicida, tesa a togliere il diritto alla vita all'icona del nemico per antonomasia. Non è uno scherzo: codesta prosa raccoglie l'odio seminato dal 1994 ad oggi, in particolare negli ultimi cinque anni di virulenza concentrata e ossessiva.
Un tale Berardo Carboni sta raccogliendo fondi per produrre il suo film Shooting Silvio - Sparando a Silvio Berlusconi. Sì, proprio sparando e non altri possibili significati del verbo, visto che Berlusconi viene anche qui, a mo’ di lieto fine, fucilato.
La Ue ha finanziato il musical Everybody for Berlusconi, dove il presidente del Consiglio viene ammazzato sulla scena. Lo spettacolo prevede che gli attori-carnefici chiedano prima al pubblico in sala se lo vuole davvero morto. Quando la risposta è negativa, gli attori dicono alto e forte: «Lo uccidiamo lo stesso» e così fanno.
Altri libri e spettacoli funesti son seguiti e seguiranno. Magari diranno che è arte. Di sicuro, c'è la coltivazione intensiva di un odio che si taglia con il coltello.
Giuseppe Caruso, il romanziere, è collaboratore de l'Unità. Nell'operazione film S.S. Shooting Silvio appaiono i nomi di programmisti registi di Rai Educational; di operatori Rai e di Canale 5; di redattori di Blob, Rai 3. Prima, lo volevano in galera; ora, tramontata la via giudiziaria, lo sognano morto.
Dall'altra parte, per fortuna, nessuno ha mai neppure immaginato di scrivere thriller o sceneggiature intitolate: Ammazza Prodi o Impicca Fassino. Gli aspiranti killers, oniricamente parlando, sono tutti ficcati - e non poteva essere altrimenti - nell'area dei nipotini di Stalin e dintorni.
Essendo uno che vive di scrittura, ripeto senza retorica che sarei pronto a tutto pur di consentire agli insolenti di insolentire a mezzo stampa. Nessuno tocchi Caino, perciò, e, dopo aver ribadito la libertà di astio, di inimicizia e d'intolleranza, mi pare che l'aver raccolto quasi tutto il veleno, trasmesso a mezzo stampa da l'Unità di Colombo contro Berlusconi e i suoi, possa essere considerata un'opera di educazione civica, sia pure in negativo e per contrasto. In un Paese civile e in una democrazia dell'alternanza gli avversari non si rimirano col sangue agli occhi e non si odiano fino a questo punto. Si combattono e duramente, ma non si dovrebbero mai esporre a rischi più gravi di quelli delle normali sconfitte elettorali. Fra l'altro, l'eccesso può diventare un boomerang e l'Unità di questi ultimi anni è un campionario, sia pur grintoso, di autogol.
Furio Colombo, invece, s'è addirittura vantato d'essere stato decisivo, proprio con il suo modo d'intendere l'informazione - piazzate e parolacce da angiporto - sul declinare dei consensi al governo Berlusconi, sino a sigillare il suo editoriale del 17 aprile 2005 - che è solo il primo di una lunga serie di autopanegirici - con una patetica sortita da Rambo: «Missione compiuta». Ancora nell'agosto 2005, giorno 14, quando tutti si rilassano un po’, ecco spuntare l'ex direttore a rappresentare il suo chiodo fisso.
Non vorrei deludere tanto direttore, ma la sua Unità è stata come la violenza negli stadi: deplorevole, maleducata, gratuita, inutile. Ha, certo, lasciato dietro di sé una inaudita scia di invettive, ma nulla di politicamente rilevante.
L'unico effetto evidente lo ha avuto su Piero Ottone, quel personaggio che, in qualità di direttore del Corsera, lasciava campo libero al collettivo interno, autorizzato addirittura a censurare e a cambiare i titoli del quotidiano di via Solferino, sino a falsificare del tutto la notizia. Quando, 19 maggio 1975, un titolo sul Portogallo (I comunisti occupano il giornale socialista) viene corretto notte tempo dai «compagni» in Tensione a Lisbona fra Pc e socialisti, senza che esploda una questione sulla libertà di stampa, allora si capisce cos’è il libero e indipendente giornalismo italiano e di che pasta sono fatti i famosi direttori che sono sempre in circolazione.
Ebbene, Colombo è riuscito a convincere solo Piero Ottone, il quale, sia pure con un ritardo impressionante - soltanto il 27 agosto 2005 su Repubblica - ha dimostrato d'aver appreso la lezione colombiana, cioè che Berlusconi sarebbe peggio di Mussolini, finendo per proporre, per contrasto, una sorta di apologia del fascismo.
Tutto qua, l'effetto di tre anni a goccia d'acqua.
La verità è che la Cdl non ha avuto mai bisogno di Colombo, sapendo fare - penso a certi coordinatori di Forza Italia o alle fibrillazioni periodiche dentro l'Udc e An - tutto da sola e benissimo: dopo quattro anni di tentativi, sta riuscendo perfettamente nell'impresa di autodistruggersi e lasciare il governo del Paese a Prodi, finché morte non lo separi da noi. Certo, la maggioranza è stata sfortunata, essendo incappata in un lustro di lacrime e sangue, ma in quanto a farsi del male s'è rivelata maestra provetta. Colombo non se ne abbia: avrà nel corso della vita attuato certamente mille ottime potenzialità, non certo quella di abbattere a colpi di male parole e mani sui fianchi un esecutivo in teoria fortissimo, perché certamente voluto dal popolo sovrano.
Con le battute da osteria, in compenso, da noi si diventa ricercati relatori di convegni benemeriti e, in più, si vincono premi letterari. Furio, infatti, è un relatore professionale, nonché prosatore pluripremiato. Partecipando, il 17 settembre 2005, a un convegno intitolato con un fulgido ossimoro, «Questione morale e codice etico alla Zapatero», cotanto direttore si è finalmente assunto la piena responsabilità della linea editoriale fondata sull'insulto; peccato che l'abbia condita con una miserrima imprecisione e un plurale volpino contenente una menzogna sesquipedale, che mai ci saremmo attesi da chi accusa giorno e notte l'avversario politico di essere bugiardo. Ha infatti affermato, a proposito del fascicolo con i «500 insulti» (in realtà 500 erano i numeri del quotidiano consultati): «Alcuni erano veri e propri insulti, di cui vado orgoglioso; altre nostre affermazioni parlavano delle leggi vergogna, da cancellare immediatamente; altri non erano che la ripresa di frasi gravemente offensive de il Giornale nei confronti di Prodi». Cotesto «altri» si riferisce, in verità, sperduta tra migliaia, a una sola espressione, tratta da un furente articolo di Guzzanti e riciclata da Travaglio. Comunque, per garantire anche il diritto di Colombo ad essere poco acribico e non proprio sincero, mi impegno sotto giuramento a mettere a repentaglio la vita. Del resto, a uno così spiritoso da ridurre a foglietto goliardico-dopolavoristico l'Unità fondata da Antonio Gramsci - il quale non a torto, ridotto in carcere, diffidò massimamente dei comunisti, degli «utili idioti» e dei sinistri italiani succubi - lo stesso 17 settembre 2005 è stato assegnato il premio «San Casciano dei Bagni» per il «giornalismo culturale» (sic).
Il Kitsch, come l'Islam, ha i suoi onorati capi fondamentalisti e merita i dovuti riconoscimenti. Avrei volentieri allegato al libro l’immaginetta di Colombo in uno snow globe, con la neve da rovesciargli di tanto in tanto sul capo, ma non ho trovato l'artigiano di oggettistica Kitsch all'altezza del compito.
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