Politica

L’uomo nuovo che è già vecchio

Come un’ape bulimica, Walter Veltroni sparge più miele ogni giorno che passa. Governa Roma da sei anni, debuttò in Parlamento vent’anni fa, da trenta fa politica, ha 52 anni e i capelli grigi, ma continua a presentarsi come l’uomo nuovo che ci cambierà la vita.
Come nessuno è capace di riempire pagine di giornali senza dire nulla. Alla vigilia della sua scontata elezione alla testa del Pd, il Corriere della Sera gli ha dedicato un’intervista che occupa un pezzo della prima e, per intero, la seconda e terza facciata. Parole pesanti come piume. «Il voto di domenica realizza il sogno della mia vita... Comincia un’altra storia, un altro viaggio, con nuovi compagni e nuove rotte». Il Pd costruirà «una democrazia più lieve e più veloce». «Oggi la mia missione è trasmettere il mio entusiasmo. È rilanciare l’orgoglio di essere italiani. Questo Paese fantastico pieno di imprenditori meravigliosi, di ragazzi coraggiosi...» di eroi, di poeti, di navigatori. Alla sola domanda scomoda, quella sul suo futuro in Africa dove un anno fa ha fantasticato di ritirarsi in tempi brevi, ha replicato: «Ho detto che non avrei cercato altri posti di potere. Ma quando vedi... che tutti si voltano verso di te per chiederti di impegnarti in prima persona, non puoi fare finta di nulla».
«Tutti si voltano verso di te». Sembra una frase tratta da una preghiera a Maria Vergine, ma Walter - narciso senza pudore - la riferisce a sé. In giugno, quando cominciò la sua osannante campagna elettorale, lo scettico Emanuele Macaluso, ds pure lui, disse sardonico: «Walter santo subito!». L’ascesa ai Cieli è puntualmente avvenuta. Il sindaco beato ha perfino scritto una lettera ai sedicenni d’Italia invitandoli a votarlo. «Cari, siano la vostra voce e le vostre idee a cambiare le cose. Cogliete questa opportunità, partecipate, scegliete, costruite il Pd e fatelo vostro». Come non percepire in questo tenero appello l'eco millenario del richiamo di Gesù dalle rive del Giordano: «Sinite parvulos venire ad me»?
Bene. Questo è il Veltroni delle dolci chiacchiere in libertà. Concretezze zero. O meglio. Nell’intervista di cui sopra Walter un impegno, ahilui, lo ha preso. Perdendo per un istante la sua incallita prudenza, ha detto che in otto mesi - sottolineo otto - si possono «ridurre il numero dei parlamentari alla metà». Largheggiamo, abbuonandogli il mese di ottobre in cui dovrà smaltire l’euforia dell’elezione. Ma poi, fatalmente, il tempo ricomincerà a correre e gli otto mesi scadranno in giugno 2008. Se per quella data non sarà successo nulla - e nulla succederà - potremo togliere a Veltroni l’aureola del santo e mettergli la corona di re degli spacconi.
Walter è un genio dell’abbindolamento. Comunista per decenni, crollato il Muro, dichiarò di non esserlo mai stato. Anticraxiano incallito, tifò per Bettino in galera, ma quando l’Ulivo cominciò a incamerare i primi socialisti rimasti senza casa, addolcì i toni per attirare il maggior numero di profughi. Osteggiò Berlusconi come pochi, ma ora - per distinguersi da altri figuri del centrosinistra - si dichiara avversario rispettoso. Da qualche anno poi, ha scoperto la categoria dell’ecumenismo - detto appunto, veltroniano - che prende il nome di «buonismo» quando scivola nel patetico. Con questi ingredienti, da un lustro governa la Capitale.
Il «modello Roma» si fonda sul paternalismo. La tecnica, per funzionare, esige che i Ds abbiano il potere. In questo caso - per rassodarlo e ampliarlo - la Sinistra, anziché serrare le fila, dialoga con l’intera città. La avvolge nel fru fru: corse campestri, notti bianche, gay pride, luminarie, festival. Attrae nelle sue morbide spire, preti e mangiapreti, no global e palazzinari, zingari e salotti. Pedine del gioco sono amici e nemici. C’è posto per l’opposizione di destra, per gli irriducibili di sinistra, nostalgici del Duce, orfani di Stalin. Quest’orgia di raccogliticcio ha raggiunto l’apoteosi con le elezioni che hanno confermato Walter sindaco nel 2006. Oltre alla lista ufficiale, lo hanno appoggiato una sfilza di liste civette. Perfino una - «Moderati per Veltroni» - per infinocchiare gli elettori del centrodestra. Al che, il suo sfidante, Gianni Alemanno, è esploso: «Gli manca solo una lista “Fascisti per Veltroni” e siamo a posto».
Walter macina tutto, purché il suo potere si rafforzi. Un bell’esempio della confusione mentale che ha seminato è di queste ore. Uno dei seggi elettorali per le primarie del Pd è stato approntato nei locali di una Libreria Mondadori che è, come ognuno sa, la casa editrice di Berlusconi, il quale si è così ritrovato inconsapevolmente arruolato nella fila di chi lo vuole morto. Svampitezze veltroniane.
Volendo conciliare gli opposti, Veltroni si condanna a non fare niente. I soli che abbiano avuto vantaggi dal suo ecumenismo, sono costruttori e disobbedienti. Li ha giocati, l’uno contro l’altro. Ai palazzinari ha dato cemento libero e ai no global verdeggianti, per zittirli, ha fatto moltiplicare le occupazioni dei cosiddetti «centri sociali» di cui oggi Roma è la capitale mondiale. Ai romani senza etichetta - tre milioni e fischia - restano i rumori, il traffico selvaggio, le strade immonde, la mendicità petulante.
Walter è un fabbricatore frenetico di iniziative estemporanee. Tiene lezioni di «buona politica» per scolaresche e damazze all’Auditorium romano. Scrive romanzi, supervisiona le sceneggiature dei film tratti dai suoi racconti, compare in tv un po’ come sindaco, un altro po’ come candidato del Pd. Ha trovato il tempo di doppiare un cartoon di Walt Disney, Chicken little, dando voce alla strozza di Rino il Tacchino. Ha fatto un appello in nome delle maestranze per la prosecuzione di Incantesimo, soap opera in via di chiusura dopo decenni.
Come trascurare poi la sua passione per il Continente Nero. Ci va due volte l’anno a inaugurare pozzi e scuole. Ha imposto i cibi equo-solidali nelle mense scolastiche capitoline. Per i suoi meriti africani è stato nominato capo tribù di Balaka. Instancabile, ha incaricato l’Ama - l’azienda romana della Nettezza urbana - di smaltire i rifiuti di alcune capitali centroafricane. Missione fallita per incapacità di assolverla con accuse paracoloniali da parte degli indigeni indignati. Fino all’esternazione famosa, «Finito il mandato di sindaco, mi ritirerò in Africa» e alla storica replica, di fronte allo scetticismo generale: «Non ci credete? Ne riparleremo tra cinque anni».
Ospite conteso dei salotti, Walter ha intrecciato rapporti di sogno con la stampa italiana ed estera. Tra i suoi turibolatori più assidui Marcelle Padovani, corrispondente dall’Italia del Nouvel Observateur e vedova di Bruno Trentin. In un articolo inneggiante che apriva il settimanale tre numeri fa, intitolato «Waltèr Veltronì, Avanti!», la signora ha dato fondo al suo spirito critico: «Questo sindaco popolare, amante delle parole semplici, capace di catalizzare grandi emozioni collettive... buono e gentile verso tutti...» e vi risparmio il resto dell’arpeggio. È con questi aedi a disposizione che il Nostro ha potuto affiancare al titolo di capotribù di Balaka, la Legione d’onore conferitagli da Jacques Chirac.
Nulla dell’adolescenza di Walter faceva presentire il nascente Uomo della Provvidenza di una sinistra catalettica. Fu precoce nella prudenza. Undicenne, rifiutò il bacio di una bimbetta intraprendente. «Mi sembrava disdicevole dal punto di vista igienico», spiegò da adulto. Scolaro modesto, abbandonò per inidoneità gli studi classici, ripiegando su un diploma di cineoperatore. All’università non si è mai affacciato. È dunque un autodidatta, il che non gli ha impedito di essere ministro della Cultura, come l’autodidatta Benedetto Croce lo fu dell’Istruzione. Il filosofo mi perdoni il raffronto.
A fargli da battistrada nel Pci, al quale era già iscritto nei primi anni ’70, regnante Breznev, fu il fratello Valerio. È il genio distorto di casa Veltroni che traghettò nel Pci una famiglia paciosamente dc, qual era papà Vittorio. Dal fratello maggiore, Walter ha ereditato il mito degli Usa e dei Kennedy. Valerio, a un certo punto, mollò il partito in cui aveva fatto strada e sulla cui scia si mise il cadetto. Così, senza voli, ma con la determinazione del tritasassi, Walter è diventato deputato, ministro, sindaco. Ora è a capo del partito - sulla carta - più grande d’Italia. Dice che si accontenta e che - parola d’onore - mai farà lo sgambetto a Prodi per sostituirlo a Palazzo Chigi.

Ma state tranquilli: punta solo a quello e il piano è già pronto.
Giancarlo Perna

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