«Per l’Urss ero il nemico, ora i russi mi amano» Il giallista americano racconta come l’investigatore Renko e «Gorky Park» gli abbiano cambiato la vita: «Giravo per Mosca di nascosto, ero “persona non grata”. La Perestroika però mi ha reso un be

Nei giorni in cui il Salone Internazionale del Libro 2011 celebra la narrativa degli scrittori russi torna in libreria l’investigatore moscovita più famoso nel mondo. Il suo nome è Arkady Renko ed è stato fino ad oggi protagonista di ben sette romanzi dello scrittore americano Martin Cruz Smith che ha scelto proprio la sede di Torino per lanciare il suo recente Le tre stazioni (Mondadori). Cruz Smith ha confezionato nel tempo thriller capaci di mostrare quale speciale «laboratorio criminale» sia stato il territorio sovietico sia prima che dopo la Perestrojka. Le indagini del suo ispettore Arkady Renko sono iniziate nel 1981 con un bestseller del calibro di Gorky Park, al quale hanno fatto seguito i non meno fotunati Stella polare, Red Square, Havana, Lupo mangia cane, Il fantasma di Stalin. Ogni volta che Renko è tornato in azione ha avuto a che fare con situazioni uniche: ha dato caccia a loschi affaristi americani sulle rive del lago ghiacciato del Gorky Park, è sopravvissuto a spie e dissidenti nel cuore dell’Havana, ha avuto contatti con militari responsabili del massacro di Beslan, ha avuto persino il coraggio di indagare nella zona contaminata di Chernobyl. «Quando ho iniziato a scrivere Gorky Park - ci spiega lo stesso Martin Cruz Smith - volevo scrivere un romanzo che raccontasse come poteva comportarsi un uomo onesto all’interno di una società criminale. Capitando in visita Mosca mi sono trovato a pensare che quella città era grandissima e perfetta per ambientare la mia storia. Al principio avevo pensato di costruire che un investigatore americano poi mi sono accorto che se non avessi creato un poliziotto russo la cosa non avrebbe funzionato. Per raccontare davvero la vita e la psicologia di quel paese dovevo avere un eroe che lì era nato e cresciuto. Così è nato Arkady Renko».
Ma come si era documentato all’epoca?
«Durante il mio soggiorno a Mosca riuscii facilmente ad eludere il controllo delle guide dell’Intourist che accompagnavano i turisti per la città e mi sono così avventurato liberamente alla sua scoperta. Sono salito sugli autobus e ho vagabondato per la città visitando le fabbriche e certi quartieri poveri dove nessuno ti avrebbe mai scortato. Mi sono persino intrufolato, per caso in un bar dell’Accademia militare dove i cadetti erano in divisa ma completamente ubriachi e ho assistito anche a un paio di confronti violenti fra poliziotti e spacciatori. L’unica accortezza che ho avuto in quella mia incursione è stata di non fotografare nulla e di prendere solo appunti con la mia penna sul mio taccuino».
I russi non hanno però gradito subito le sue storie anche se ben documentate? Dire che ero considerato “persona non grata” in Russia è un eufemismo.
«Per anni sono stato considerato un Nemico del Popolo. Ufficialmente mi avevano affibbiato l’appellativo di “grafomane”, in modo da screditare completamente le mie opere. Poi dopo questo periodo negativo sono diventato un autore amato dalla Perestrojka. Prima chi leggeva il mio Gorky Park rischiava il campo di concentramento, ora invece i miei romanzi si trovano in tutti i chioschi al bordo delle strade e anzi i Russi, volenti o nolenti, sono diventati il mio pubblico di lettori più numeroso».
In Le tre stazioni lei tocca un tema spinoso come quello dei bambini scomparsi...
«Sono tantissimi i bambini russi che scappano di casa, spesso per fuggire a terribili violenze familiari che nascono in situazioni di disagio. Altrettanti sono quelli che vengono abbandonati. Mi sembrava un tema importante da toccare che non so quanto sia stato affrontato nella narrativa russa contemporanea».
Che effetto le fa una città come Mosca?
«Qualcuno ha detto che Mosca è Mosca e tutto il resto è Russia. Di sicuro Mosca e Pietroburgo sono due città che si distaccano dal resto della realtà del paese.

E viene spontaneo chiedersi se i nuovi quartieri e grattacieli ipertecnologici che vi sono stati costruiti diventeranno davvero i luoghi finanziari decisivi per vendere petrolio e metalli rari o resteranno delle semplici cattedrali nel deserto costruite solo per la ricchezza di pochi... È difficile capire che rapporto ci possa essere fra i nuovi ricchi e i nuovi poveri in Russia (quelli che descrivo come abitanti diurni e notturni della piazza Komsomol nel mio ultimo romanzo)...».

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