LALLA ROMANO Un testamento fatto solo di ombre

Esce «Diario Ultimo»: poesie e appunti sulla malattia, sui ricordi, sul dolore dell’anima che l’artista, ormai cieca, ha scritto negli ultimi mesi della sua vita

Quasi un anno di ombre e di suoni da fermare sul bianco intatto di cinquecento fogli, dove le parole si incrociano, si sovrappongono, si lasciano troppo spazio e, qualche volta, sono incomprensibili o incomplete. Da marzo 2000 a gennaio 2001, Lalla Romano (11 novembre 1906 - 26 giugno 2001) scrive nonostante la cecità, perché scrivere è necessità, è un’urgenza, quella di fermare il tempo ancora un po’, prendendo appunti sulla sua vita in comune con Antonio Ria, sulla malattia, il dolore dello spirito e del corpo, le visite nella sua casa milanese di via Brera, dove viveva dal 1953, le emozioni suscitate dalla musica che ascoltava e sollecitava immagini, come quando era bambina e suo padre Roberto le suonava il flauto per addormentarla nella culla.
«Sorella cecità» la chiamava francescanamente, una compagna scomoda, limitante, che amplificava udito, olfatto e tatto di questa donna «visiva» che prima di dedicarsi alla scrittura aveva scelto la pittura. Dalle immagini impastate sulla tela era passata alle immagini costruite dalle parole, anzi dal Verbo, come fosse un pennello. «Amo il Verbo/non le parole/unico è il Verbo/le parole, troppe». Una dichiarazione che ha qualcosa di sacro e conferma il ritorno di Lalla alla originaria vocazione poetica di cui è intrisa tutta la sua produzione.
Quelle cinquecento pagine riempite di vita sono state ordinate e meticolosamente trascritte dal compagno dei suoi ultimi quindici anni, Antonio Ria, fotografo, antropologo figlio del Salento, custode fedele, sacerdote della memoria di un’artista che ha attraversato il Novecento quasi per intero, scavalcandolo. E così è nato Diario Ultimo edito da Einaudi, un testamento pubblicato per celebrare il centenario della nascita di Graziella Romano (nome datole da suo padre che amava molto l’omonima novella di Lamartine).
«La scrittura di Lalla è immediata, diretta, sincera, sfrontata, e ha sempre attratto le nuove generazioni - racconta Ria - lei ha insegnato nelle scuole medie fino al 1959, anno della pensione, e ha continuato ad amare il contatto con i ragazzi. Non frequentava i salotti letterari e mondani. Molti studenti di Brera venivano a trovarla anche per vedere i suoi quadri. Pochi sanno che Lalla frequentò la scuola di Felice Casorati».
Allieva di Casorati e Lionello Venturi, amica di Ardengo Soffici, questa piemontese dallo sguardo fiero, bella fino alla fine dei suoi giorni, diffidava degli intellettuali e diceva che la cultura è nemica dell’arte, perché l’arte è emozione. Lei si trasferì a Milano nel 1947 per insegnare nella scuola media Arconti. Lui arrivò a Milano nei primi anni Ottanta per insegnare in un istituto professionale. Invitò la scrittrice (e pittrice, bibliotecaria, ex professoressa) a parlare ai suoi alunni del romanzo Tetto murato, uscito nel 1957. Salento e profondo Nord si incontrarono e proseguirono il cammino insieme. «Fu un rapporto fatto di fascinazione e stima che mi dà nostalgia», ricorda Antonio Ria.
Questa grande bambina con i capelli bianchi e gli occhi belli, vivaci, sapeva comunicare sapienza e innocenza, come la «Figura femminile con ombrellino», un olio su cartone dipinto da lei nel 1930, scelto per la copertina di Diario Ultimo. Una donna con un abito bianco, semplice, infantile, puro, seduta su una sedia di vimini mentre si ripara dal sole. Pennellate evidenti, rapide, che rendono la figura concreta ma impalpabile.
Pesantezza e leggerezza del corpo, nella pittura come nella scrittura. «La sua è una visione metafisica della realtà - spiega Ria - Lalla non è una scrittrice di massa e non è facile mantenere viva la memoria, rafforzarla in questa società di apparenza e superficie a cui va ricordata l'anima».
E sottolinea la grande forza classica e la contemporaneità degli scritti di lei. «Scrivere vuol dire scrivere di sé, in modo più o meno dichiarato. Scrivere per me è stato anche il tramite per entrare nelle vite degli altri»: questo diceva lei, e nel parlare della sua esistenza mettendola su carta, riusciva a fondere il particolare e l’universale, quello che appartiene a una singola vita e il sentimento che può ritrovarsi in molte vite.
L’Umanità e il quotidiano che la accompagna. Così è stato per Le parole tra noi leggere (1969) che le è valso il Premio Strega, così per Nei mari estremi (1987), battuto interamente da Antonio, che nel frattempo aveva lasciato la scuola per dedicarsi a Lalla, accompagnarla nei viaggi e alle conferenze, diventare il curatore di tutta la creazione della Romano.
I rapporti personali, privati, descritti nei romanzi, sono i suoi ma possono appartenere a chiunque, con naturalezza, come ogni esperienza rende vivi i giorni, pure leggere un libro, perché anche «le mie letture fanno parte della mia vita, come una gita in montagna», diceva lei, come qualunque evento.
Ora, a cento anni dalla nascita di Lalla, «la mia volontà è quella di mettere a disposizione la casa di via Brera (già sede dell'Associazione Amici di Lalla Romano), l'archivio, le lettere, tutta la corrispondenza con Cesare Pavese, suo compagno di università, Italo Calvino, Riccardo Bacchelli, Eugenio Montale - dichiara Ria - voglio che diventi un Centro studi. Tutto è rimasto così come lei lo ha lasciato, i suoi volumi, i quadri, i mobili che lei stessa disegnò nel 1932, l’anno del suo matrimonio con Innocenzo Monti, morto nel 1984. Per festeggiare i cento anni sono in programma mostre, letture, incontri che coinvolgono diverse città: Roma, Torino, anche Lugano. Non mancherà certo Milano, dove lei ha vissuto a lungo, città che ha amato e che l’ha vista consigliere comunale per un paio d’anni».
Le nuove generazioni si accosteranno alla sua opera intera, magari iniziando proprio dall’ultimo diario messo insieme con fatica dall’attento discepolo che le era accanto quando i begli occhi scuri si annebbiarono, quegli occhi che avevano saputo usare i colori e chiamato i papaveri «gocce di sangue».


Superato il Duemila, Lalla aveva dovuto fare affidamento sugli altri sensi, e «vedere con l’olfatto» i tigli che «odorano di miele» e i cespugli di rosmarino, «alito antico/che riconosco/mi consola». Oltrepassato il suo secolo e scese le ombre, lei si dichiarò al silenzio e alle onde: «Amo caro, lento e potente/il respiro del mare/non chiedo altro respiro».

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