Riccardo Chailly e il suo inverso: il direttore che ama e promuove la tradizione italiana ma che non dimentica la contemporaneità da Varèse a Berio a Bollani. L'uomo che ha respirato fin da bimbo l'opera di casa in casa - suo padre era compositore -; che per anni ha lavorato in Germania e Olanda, punto di snodo Lipsia, impegnato nei più diversi repertori. La bacchetta che si cimenta coi cicli sinfonici con alle spalle più di un centinaio di incisioni, che ha acceso le luci su diversi autori dimenticati. Che porta nel mondo la Filarmonica.
Tutto concorre, quadra, tutto però è e deve restare arte. Come a dire: nei giorni dell'«Andrea Chénier» non cercate particolari gossip. In un «monaco della musica» come lui sono neve al sole. Il maestro ai party preferisce le passeggiate in Engadina, vive e lavora in maniera serrata e appartata in una villa a Paderno Dugnano; arriva guidando l'auto e mai l'ombra di un autista. Legatissimo alla sua famiglia, un mare di bene ai nipotini, per il resto niente o quasi discorsi sul privato. Inviolabile come il suo tempo dopo le inaugurazioni, disertati feste e cin cin si va subito a casa. Già, proprio così: eccolo il Riccardo da Milano, 65 anni, direttore musicale del Teatro alla Scala: carattere da buona borghesia lombarda («pragmatico, entusiasta ma schivo», confida chi lo conosce); a cui forse si aggiunge un po' di «rigore protestante» ereditato dal periodo nordeuropeo. È un «certosino» della partitura, nel senso che anche le pagine di Umberto Giordano le ha passate e ripassate ai raggi x. Non un lavoro da «precisetti» come qualche sciura potrebbe scherzare in milanes; ma l'impegno e la dedizione di un intellettuale del pentagramma perennemente a caccia della totalità dell'opera, una globalità raggiungibile attraverso la sua conoscenza integrale, tutte le parti tutte le varianti. Così lui ogni volta, con questo spirito, con questo obiettivo. Riccardo, insomma, un «anticonformista cocciuto», dicono affettuosamente di lui «che porta avanti le idee con determinazione». Questo si potrebbe sostenere pure per il Verismo, una passione che è il risultato di una esistenza musicale e di una serie di ragionamenti che ha motivato.
Il musicista, accanto alle sue aperture e curiosità un po' in tutte le direzioni, dai moderni a Cherubini tornando a Mahler con approcci filologici vedi i rapporti con studiosi come La Grange - si è spesso trovato a contatto con l'anima più profonda del Belpaese: papà Luciano operista con i testi dello scrittore Dino Buzzati e poi direttore al Piermarini; il suo periodo giovanile come assistente di Claudio Abbado e l'incontro con Bruno Bartoletti, che fu direttore artistico all'Opera di Chicago nonché suo primo contatto con Pavarotti. Momenti di formazione che hanno contribuito a rafforzare le sue convinzioni e a mettere a fuoco una riflessione che più o meno fa così: l'Italia è la patria del belcanto con tutti i suoi autori e i suoi titoli, otre seicento, dunque non solo quelli che di solito girano. E adesso però non si dica che lui si occupa di una nicchia, basta ricordare che la prima Prima da lui diretta è stata l'«Aida» di Verdi, e riguardo gli altri - Puccini & Co. - (l'anno scorso «Butterfly») ci sono sempre stati. Poi un po' di giustizia storica alla (ri)scoperta di autori tra l'altro eseguiti oltreconfine, un po' meno da noi soprattutto decenni fa, vedi personaggi come Pietro Mascagni e Alfredo Casella con altri ancora colpiti dalla damnatio memoriae, oppure messi fuori gioco da correnti artistiche del Novecento che volevano rompere col passato.
Di meno, nel mirino, Umberto Giordano che Chailly ha affrontato più volte e di cui apprezza tra l'altro gli aspetti armonici. «Andrea Chénier», storia di un'insurrezione coi suoi slanci e le delusioni che Maria Caniglia interpretò con Beniamino Gigli.
E che, forte della sua esperienza, in America diede un consiglio al giovane direttore volato dall'Italia: caro maestro si dice suggerì il celebre soprano - non badi alla parte «atletica» della vocalità ma cerchi le linee belcatistiche e vedrà... C'è da giurarci: Riccardo, l'«anticonformista in frac», che nell'opera lirica ricerca il meglio del lato orchestrale e cinematografico, anche oggi farà sua questa Rivoluzione.
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