Serena Coppetti
Autorevole ed efficace. Comunicativa. Organizzata. Capace di assumersi le responsabilità quando il capo non c'è, ma pronta a diventare invisibile durante incontri riservati. Ovviamente, oggi, è laureata, poliglotta e tecnologica. Curata, dalla testa ai piedi, dalle scarpe ai capelli passando per l'abito mai troppo vistoso e mai troppo anonimo. Un tempo le chiamavano segretarie. Dovevano conoscere stenografia e dattilografia, rispondere al telefono e gestire l'agenda del capo. Il cliché le voleva bellocce, per l'epoca meglio se con il fianco pronunciato, magari ancheggiante nel portare il caffè. Oggi hanno limato i fianchi, forse non portano più il caffè e dietro quel loro nuovo nome di «assistenti di direzione» ci sta tutto un altro mondo. E tutta un'altra figura. La segretaria 2.0 «ha un ruolo che rispetto al passato deve sempre più essere proattivo e dinamico», racconta Vania Alessi, fondatrice di Secretary.it, la community che raccoglie più di 9mila iscritte, la metà delle quali con un ruolo di assistente a presidenti, amministratori delegati o direttori generali. «Il nostro mantra? Anticipare le soluzioni, non più e non solo risolvere i problemi». Niente può essere lasciato al caso. Oggi, più di ieri neppure l'outfit. Un esempio su tutte: Donna (l'attrice Sarah Rafferty), Segretaria personale dell'avvocato Harvey Specter (Gabriel Macht) nella serie tv Suits. Con i suoi completi impeccabili, è considerata una delle assistenti più influenti e potenti di New York. Ma piace anche in Italia. Se dunque la premessa è d'obbligo - l'abito dipende sempre dal contesto - la regola è una: l'apparenza non inganna. Perchè con la sua prima stretta di mano l'assistente, che sia «personal», «executive» o «manager assistant» è il biglietto da visita del capo e quindi dell'azienda. Alessandra Boaro, consulente di immagine di Secretary.it e Founder di «Style for success» lo dice chiaro: «La reputzione del capo passa anche attraverso l'immagine della segretaria». E allora per cominciare, la scelta del colore dell'abito è fondamentale. Il blu apre tutte le porte, meglio se nella sua sfumatura navy. «Trasmette fiducia, affidabilità e trasparenza. Ed è un colore che va bene per quasi tutte le culture», spiega. Apprezzato dagli asiatici (che comunque preferiscono i colori polverosi, più chiari), rientra nei canoni del dresscode formale per il mondo arabo insieme al nero e al marrone. Meglio del nero che «tende ad annullare chi lo indossa», o del grigio «neutro e neutrale, più da giorno che da sera», il blu esalta la personalità e stimola la relazione. Il rosso, invece, la accelera, «dopo 2/3 ore è facile che ci arrabbiamo...». Il capo indispensabile è la giacca, «che arriva alle ossa del bacino e con un fitting adatto alla propria figura». Vietati i pantaloni stretch, ammesse gonne e abiti mai sopra al ginocchio e con maniche a tre/quarti. Il jeans, mai. Solo nell'americano «casual friday», ma eventualmente con una camicia importante e scarpa col tacco. Scarpe. Meriterebbero un capitolo a parte. C'è anche chi ci ha scritto un libro (nel box a fianco). L'esperta non ha dubbi: tacco mai sotto i 5 centimetri mai sopra gli 8. Sandali vietati, la decolleté va sempre bene, così come il colore nude. Calze mai sopra i 20 danari.
Anelli e bracciali non devono mai ingombrare la mano destra che deve essere libera di salutare, indicare, sfogliare... Per questo la segretaria perfetta porta borse e orologi a sinistra. Se non è mancina, ovviamente. Una cosa non cambia mai. Ed è il buonsenso. Da declinare in tutte le sue sfumature.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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