Molti scrittori di thriller sostengono che non esiste una formula sicura per azzeccare un best seller. Negli Stati Uniti ci sono però scorciatoie che aiutano i romanzi a scalare le vette delle classifiche: usare blurp (slogan di lancio) firmati da celebrità della letteratura di genere (da Stephen King a James Ellroy); vendere i diritti cinematografici a grandi produttori e registi di Hollywood; entrare nella speciale classifica del New York Time e, dulcis in fundo, essere fra gli scrittori più amati da Bill Clinton.
Sì, perché lex presidente è da sempre una sorta di grande promoter sia per il successo delle rockstar sia per quello dei «noiristi» delle ultime generazioni. E sino a oggi pare abbia mostrato un fiuto infallibile per i nuovi talenti. Fra le sue ultime scoperte cè Laura Lippman, che con I morti lo sanno (pagg. 448, euro 18,50) inaugura la nuova collana noir di Giano Editore (da qualche mese incorporato nel gruppo Neri Pozza, che ne ripropone il catalogo in una nuova veste editoriale).
È la stessa Lippman a spiegarci che la Baltimora protagonista delle sue storie è tuttaltro che inventata, ma anzi ha un profilo criminale di tutto rispetto. «Ogni trentasei ore - spiega - a Baltimora viene commesso un omicidio. Per questo è una fra le sei città più a rischio degli Stati Uniti. Ci sono quartieri dove la gente del ceto medio può vivere in completa tranquillità, ma ce ne sono altri dove è pericolosissimo avventurarsi senza correre il rischio di essere uccisi o rapinati. La povertà è largamente diffusa nei quartieri popolari e ciò ha comportato la concentrazione in queste zone del mercato della droga. Di recente la malavita locale ha persino lanciato una caccia alluomo nei confronti di chi collabora con la polizia, promettendo ricompense a chi individua i cosiddetti spioni. E il clima di omertà e intimidazione è aumentato in maniera impressionante».
Sembra esserci una sorta di linea di sangue che collega la sua letteratura a quella di autori come Pelecanos, Lehane e Connelly...
«Sono tutti e tre miei carissimi amici, ci frequentiamo spesso. Sicuramente sono stata molto influenzata dalle loro opere, ma soprattutto credo che tutti e tre siamo stati formati da uno scrittore come James Crumley che ci ha mostrato quanto scrivere crime novel potesse essere importante per dare un ritratto sociale sanguigno della società contemporanea. Quando lessi a venticinque anni il suo Lultimo vero bacio mi dissi: Wow! Ma allora si può scrivere un noir che abbia ritmo, storia e uno stile letterario degno di nota. Crumley ci ha mostrato che la formula del noir poteva essere rivoluzionaria e incisiva».
Lei è giornalista. Si è mai sentita anche un po detective svolgendo il suo lavoro?
«No. Però creando la mia protagonista Tess Monaghan ho ipotizzato che cosa potrei fare se non facessi più la giornalista, se dovessi trovare un altro modo per sbarcare il lunario. Probabilmente sarei uninvestigatrice abituata meno allazione e più a trafficare con documenti e foto in ufficio, ma credo che il fiuto non mi mancherebbe».
Quanta realtà ha celato nel suo I morti non lo sanno?
«Mi sono ispirata alla vera sparizione di due bambine, Sheyla e Katherine Lyon, un fatto che nel 75 sconvolse la comunità di Baltimora. Anni dopo mi capitò di passare in macchina nellultimo luogo dove le sorelle furono avvistate e pensai: che cosa succederebbe oggi se una donna si presentasse alla polizia sostenendo di essere una delle due scomparse? Le crederebbero? Che cosa potrebbe esserle successo realmente? Chi potrebbe avere taciuto per anni la verità?».
Uno dei posti più inquietanti descritti nel suo romanzo è il Saint Agnes Hospital.
«Da bambina sono stata una grande frequentatrice del loro Pronto Soccorso e dei reparti di traumatologia. Avevo una capacità unica per tagliarmi, lussarmi, fratturarmi. Così, ho imparato a conoscere molto bene quei luoghi e mi sono poi divertita a trasformarli in un perfetto scenario per la mia storia».
Non la imbarazza sapere che Clinton ha tenuto per mesi i suoi libri sul suo comodino?
«No, mi fa molto piacere.
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