La legge li chiama semplicemente impostori. In queste storie il talento non basta, non cancella la truffa. Resta solo un dubbio: vale di più il mestiere o il pezzo di carta? Il dottor A, racconta Il Secolo XIX, ha 55 anni e da più di venti lavora in un istituto di ricerca di Genova. È un immunologo. Ha pubblicato una cinquantina di libri, viaggiando tra lItalia e gli States. Tutti dicono che è veramente bravo. Ogni giorno la stessa battaglia. Seguire gli attacchi dei virus, segnare sulla carta la strategia dei loro attacchi. Chi sono? Dove si nascondono? Come si moltiplicano? E, soprattutto, come fermare le loro mosse? Una partita a scacchi e qualche volta un buon medico, uno scienziato, deve ispirarsi al genio militare di Napoleone, uno che diceva ai suoi uomini: ognuno di voi ha nello zaino il bastone da maresciallo. Il dottor A ama chi sa sporcarsi le mani. Quelli che combattono sul campo. Lui è uno di questa schiatta. Nulla a che fare con larte della guerra di Von Clausewitz, roba da scrivania. Limmunologia è sudore, testardaggine e esperienza. Limmunologia è la sua vita. Solo quando scende sera una sottile inquietudine, quel buco nero tra il sapere e la legge.
Una mattina la legge bussa alla sua porta e indossa la divisa dei Nas e della Finanza: «Dottore ci fa vedere la sua laurea?». Il bluff viene scoperto. Quella laurea è falsa, taroccata, porta il nome di un quasi omonimo. È bastato aggiungere un nome. La legge ha svelato le carte false con un controllo random. Qualcosa non tornava, codice fiscale e nome sulla laurea non concordavano, come un puzzle a cui manca un pezzo. Il dottor A ha letto laccusa di abuso dufficio e truffa continuata. Ha confessato tutto e firmato le dimissioni. Questo soldato della guerra ai virus aveva nello zaino il bastone da maresciallo. Ma era fuorilegge. Quando tutto è finito si è tolto il camice quasi con un sospiro di sollievo. Era come vivere ogni giorno con il volto di un altro, uno identico a te, ma con una laurea in tasca.
È la stessa angoscia con cui ha vissuto, per 20 anni, Peppe De Luca, professione ortopedico. A Latina il suo studio era uno dei più noti. Tante operazioni, più di cento ricorda ora lui, senza un solo errore. Infallibile. Ma senza laurea. E una vita da clandestino, come Giuditta Russo. Giuditta ha mentito per 15 anni. Ha infilato ogni giorno le pratiche in una valigetta, vestita in tailleur, ha aperto studi, trovato clienti, chiesto onorari. Ma lavvocato Russo non era avvocato. Era brava: 250 processi vinti. «Cioè tutti, fino allultimo. Lho perso di proposito per non essere scoperta. Ai miei clienti ho detto di averlo vinto, con un risarcimento di 60mila euro. Pur di trovare quei soldi mi sono inventata una serie di investimenti. Li ho proposti a amici e parenti. E alla fine, per risarcirli, ho escogitato aste immobiliari inesistenti. Lì ho capito di essere al capolinea. Non volevo più mentire. Ho scritto una lettera aperta in cui chiedevo scusa a tutti».
Tutti e tre volevano essere bravi professionisti. E non hanno nulla a che fare con lepopea di Frank Abagnale, luomo che riuscì a indossare 8 identità diverse, dal pilota al pediatra, truffando malcapitati in 27 Paesi. No, quei tre sono solo un immunologo, un ortopedico e un avvocato che ti gettano in faccia un dubbio: non è il caso di abolire il valore legale del titolo di studio? È una battaglia sotterranea che va avanti da anni. Un calcio alla società delle carte bollate, la voglia di ribellarsi allidea di uno Stato che certifica la bravura, il sapere, la conoscenza. Il sogno di una società libera dove il mercato segna il prezzo del tuo valore. Non ti chiedi chi sei, questo è un quesito che sta in fondo alla tua coscienza, ma quanto vali. Non sei un medico, un avvocato, un farmacista, un ingegnere. Ma sei uno che sa curare o difendere il prossimo. Sei uno che sa costruire ponti. Non sei il vestito che indossi, ma quello che fai. È una logica anglosassone, poco statalista. Il problema è capire se qui funziona.
Vittorio Macioce
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