Controstorie

Lavorare col cobra per potere produrre l'antidoto al veleno

Nell'Istituto di Bangkok, il secondo al mondo, i ricercatori estraggono ogni giorno il siero letale dei serpenti E insegnano come agire con i rettili

Lavorare col cobra per potere produrre l'antidoto al veleno

Bangkok

Sono le due del pomeriggio quando arriviamo al Queen Saovabha Memorial Institute, il centro della Thai Red Cross Society specializzato nell'estrazione del veleno dei serpenti per la produzione di antidoti voluto nel 1929 dal principe Paribatra Sukhumbhand. La struttura, la prima in Asia e la seconda al mondo, è enorme. Bellissimi giardini si intrecciano con i reparti del pronto soccorso, le sale espositive e i laboratori di studio. Ad aspettarci c'è Moe, un giovane ricercatore che ci dà il benvenuto, portandoci subito in uno spazio esterno, dove gli addetti stanno insegnando ad agenti di polizia, vigili del fuoco e volontari, come riuscire a catturare un cobra. «È un King Cobra, il serpente velenoso più lungo al mondo», dice indicando un contenitore di plastica dove è stato riposto. Dopo qualche minuto l'animale viene tirato fuori con accuratezza. Inizia a strisciare sull'erba. Sembra molto nervoso, c'è tanta gente intorno. Si mette in guardia, alza la parte superiore del corpo, gonfia il «cappuccio» ed è pronto a colpire con il suo micidiale veleno. Un istruttore gli gira intorno. Sembra quasi anticipare i movimenti del rettile. In mano ha un bastone con un laccio nella cima, «serve spiegano a bloccargli il collo, in modo da poterlo controllare». Pochi secondi e l'esperto lo prende, rimettendolo all'interno della scatola.

Ora è il turno degli altri, delle persone venute per imparare. Il primo a provarci è un uomo sulla quarantina d'anni dei vigili del fuoco. Il serpente viene estratto di nuovo, e con una certa difficoltà rispetto a prima, il cobra reale viene preso. La scena si ripete più volte, quasi identica a se stessa. C'è chi fa più fatica, chi meno. L'istruttore è costantemente accanto, pronto a intervenire. «Insegniamo come fare a catturare un serpente velenoso», dice. «Qui a Bangkok, soprattutto nelle zone periferiche, ce ne sono molti, e spesso si avvicinano alle zone abitate. Per questo è importante che ci siano persone che sappiano gestire la situazione».

Non è la prima volta che vediamo un cobra, né la prima che lo vediamo catturare. L'ultima volta, però, era libero, in una lunga notte nella fitta vegetazione della giungla birmana, quando un uomo locale lo aveva preso a mani nude, in una battaglia di sguardi, movimenti e rincorse durata molti minuti.

Ma la storia alla Thai Red Cross Society è diversa: i serpenti velenosi vengono presi e studiati per cercare antidoti efficaci alla cura degli attacchi, ancora molto diffusi in tutto il mondo. I morsi uccidono quasi 95mila persone ogni anno. Il maggior numero di vittime si registra in Asia e nell'Africa subsahariana. In Thailandia, secondo le ultime statistiche, eseguite nel 2015 dalla divisione di tossicologia della Chulalongkorn University di Bangkok, si verificano più di 8mila attacchi ogni 12 mesi, provocando un centinaio di morti.

Dopo la dimostrazione pratica di cattura, Moe ci accompagna all'interno per mostrarci i trentacinque tipi di rettili presenti nella struttura. Si va dal cobra siamese alla vipera malese, tutti serpenti che si possono trovare nel territorio thai. «Studiare il loro comportamento, rispettandoli, ci aiuta a capire come potersi difendere», spiega mentre continuiamo la visita. L'istituto ospita anche una vera e propria Snake Farm aperta al pubblico, con un museo dotato di sale multimediali che ricostruiscono il ciclo della vita dei rettili, la loro anatomia, la loro tossicologia e la loro mitologia. «Centinaia di migliaia di persone provenienti da tutto il mondo vengono qui ogni anno», continua il giovane ricercatore. Turisti, ma non solo. Sono, infatti, numerose le scuole della capitale che decidono di far passare una giornata ai propri alunni all'interno della struttura.

«È ora di andare a vedere come estraiamo il veleno per la produzione degli antidoti», dice Moe, portandoci in una sala. Davanti a noi un'altra piccola stanza è divisa da una vetrata. Al centro c'è un tavolo e sopra sono posati gli attrezzi del mestiere pronti all'uso. Poco dopo entrano quattro ricercatori, tutti indossano un caschetto con una visiera per proteggersi dall'eventuale morso dei rettili. Ancora oggi l'estrazione avviene esclusivamente in maniera manuale: il serpente viene costretto ad affondare i denti in un'apposita membrana e il veleno che cola viene raccolto in una provetta sterile. Il primo cobra viene tirato fuori dal contenitore, in pochi secondi è preso alla testa e immobilizzato. La mano del ricercatore schiaccia le ghiandole che contengono il veleno - con componenti che possono avere più di mille molecole differenti - per farlo fuoriuscire. Poche gocce, ma letali. E importantissime per la produzione di antidoti.

«Questa è soltanto la prima fase che ci permette di produrre medicine», spiega Moe, che durante l'estrazione ci indica tutti i procedimenti. Nella seconda fase di elaborazione del siero antiofidico, viene impiegato il sangue di grandi animali che producono anticorpi specifici contro il veleno inoculato nel loro organismo. «Piccole quantità del veleno estratto sono gradualmente iniettate in un cavallo a intervalli di cinque giorni. Quando il sistema immunitario dell'animale ha sviluppato gli anticorpi necessari, vengono effettuati prelievi di sangue. Infine, dai campioni ematici viene separato il plasma, unica parte impiegata per la produzione dell'antidoto. Soltanto in seguito a sequenze di test, che ne garantiscono sicurezza ed efficacia, il siero viene distribuito negli ospedali». Si tratta di imprescindibili traguardi sanitari, frutto di complessi percorsi formativi e lunghi continui aggiornamenti.

Ed è proprio l'incessante attività di ricerca, studio e sperimentazione svolta da istituti come il Queen Saovabha Memorial di Bangkok a permettere di giocarci oggi la possibilità di sottrarci alla letalità di queste affascinanti creature.

Commenti