Nel Sud Italia si pagano più pensioni che stipendi

Le ragioni di questo divario tra lavoratori e numero di pensionati vanno ricercate, in linea di massima, nella forte denatalità che, da almeno trent’anni, sta caratterizzando la Penisola

Nel Sud Italia si pagano più pensioni che stipendi

I dati diffusi dall’ufficio studi della Cgia, l’associazione degli artigiani e delle piccole imprese, sono allarmanti: in Italia si pagano più pensioni che stipendi a lavoratori ancora in attività. Di 205mila unità, a livello nazionale gli assegni pensionistici hanno superato la platea costituita dai dipendenti e dagli autonomi (22 milioni e 759mila pensioni contro 22 milioni e 554mila stipendi). Il maggiore dislivello è registrato al Sud. Mentre nel Centro-Nord, con le eccezioni di Liguria, Umbria e Marche, i lavoratori attivi sono più numerosi dei pensionati, nel meridione è l’esatto contrario. Nel Mezzogiorno d’Italia gli assegni di previdenza sociale sono un milione e 244mila in più degli stipendi.

Le cause

Le ragioni di questo divario tra lavoratori e numero di pensionati vanno ricercate, in linea di massima, nella forte denatalità che, da almeno trent’anni, sta caratterizzando l’Italia. Il calo demografico, infatti, ha concorso a ridurre la popolazione in età lavorativa e ad aumentare l'incidenza degli over 65 sulla popolazione complessiva. La Cgia segnala che tra il 2014 e il 2022 la popolazione italiana, nella fascia di età più produttiva (25-44 anni), è diminuita di oltre un milione e 360mila unità (-2,3%). Per quanto concerne il risultato "anomalo" del Sud, va segnalato che, rispetto alle altre ripartizioni geografiche d'Italia, il numero degli occupati è sensibilmente inferiore. Va evidenziato, comunque, che il risultato di questa analisi è sicuramente sottodimensionato; ricordiamo, infatti, che in Italia ci sono poco più di un milione e 700mila occupati che dopo essere andati in pensione continuano, su base volontaria, a esercitare ancora l'attività lavorativa in piena regola.

L’aumento degli anziani e la crisi economica

L’associazione degli artigiani e delle piccole imprese ha anche evidenziato che con una presenza di over 65 molto diffusa, alcuni importanti settori economici potrebbero subire dei contraccolpi negativi. Con una propensione alla spesa molto più contenuta della popolazione più giovane, una società costituita prevalentemente da anziani rischia di ridimensionare il giro d'affari del mercato immobiliare, dei trasporti, della moda e del settore ricettivo. Per contro, invece, le banche potrebbero contare su alcuni effetti positivi; con una maggiore predisposizione al risparmio, le persone più anziane dovrebbero aumentare la dimensione economica dei propri depositi, facendo così "felici" molti istituti di credito. Il progressivo invecchiamento della popolazione italiana sta provocando anche un altro grosso problema. Da tempo, ormai, gli imprenditori, non solo al Nord, denunciano la difficoltà di trovare sul mercato del lavoro personale altamente qualificato o figure professionali di basso livello.

La difficoltà a reperire “manodopera”

Se per i primi le difficoltà di reperimento sono strutturali a causa del disallineamento che in alcune aree del Paese si è creato tra la scuola e il mondo del lavoro, per le seconde, invece, sono posti di lavoro che spesso i nostri giovani, peraltro sempre meno numerosi, rifiutano di occupare e solo in parte vengono "coperti" dagli stranieri. Una situazione che con la congiuntura economica negativa alle porte potrebbe essere destinata a rientrare, sebbene in prospettiva futura la difficoltà di incrociare la domanda e l'offerta di lavoro rimarrà una questione non facile da risolvere.

I dati regionali

Tutte le regioni del Mezzogiorno presentano un numero di occupati inferiore al numero degli assegni pensionistici erogati abbiamo detto. In termini assoluti le situazioni più difficili si registrano in Campania (saldo pari a -226mila), Calabria (-234mila), Puglia (-276mila) e Sicilia (-340mila). Nel Centro-Nord, invece, solo Marche (-36mila), Umbria (- 47mila) e Liguria (-71mila) presentano una situazione di criticità. Per contro, tutte le altre sono di segno opposto: le situazioni più "virtuose", ossia dove i lavoratori attivi sono nettamente superiori alle pensioni erogate, si verificano in Emilia Romagna (+191mila), Veneto (+291mila) e Lombardia (+ 658mila).

Le cifre nelle diverse province

A livello provinciale, infine, le situazioni più compromesse che si registrano al Nord riguardano Biella (-14mila), Savona (-18mila) e Genova (-38mila). Tra le realtà più virtuose, invece, ci sono Bergamo (+83mila), Brescia (+111mila) e Milano (+299mila).

Nel Centro spiccano le difficoltà di Macerata (-14mila), Terni (-2 mila) e Perugia (-2 mila), mentre dal saldo con segno positivo spicca il risultato riferito alla provincia di Roma (+275mila). Nel Mezzogiorno, infine, le situazioni più gravi riguardano Palermo (-80mila), Reggio Calabria (-86mila), Messina (-94mila), Lecce (-104mila) e Napoli (-137mila).

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