Un'associazione ha affisso un gigantesco manifesto contro l'aborto a Roma lo scorso 3 aprile. Alcuni parlamentari progressisti hanno chiesto di rimuoverlo. Raffigura un feto nel grembo materno con la scritta: «Tu eri così a 11 settimane. Tutti i tuoi organi erano presenti. Il tuo cuore batteva già dalla terza settimana dopo il concepimento. Già ti succhiavi il pollice. E ora sei qui perché la tua mamma non ha abortito». Non sappiamo a quale legge, norma o codice il municipio locale sia ricorso per cancellarlo. Sappiamo che la rimozione è un attentato, peggiore di quello di cui si è sentito vittima chi ha protestato.
L'Europa, l'Italia, i pasdaran che hanno censurato, dovrebbero rileggersi il favoloso primo emendamento americano. Anzi, farebbero prima a leggersi Free Speech and Its Enemies di Robert Spencer, di cui abbiamo già parlato: «Il Congresso non promulgherà leggi per il riconoscimento ufficiale di una religione, o che ne proibiscano la libera professione; o che limitino la libertà di parola, o di stampa; o il diritto delle persone di riunirsi pacificamente in assemblea e di fare petizioni al governo per la riparazione dei torti». Gli americani hanno preso sul serio questo principio costitutivo, anche se hanno provato a trovare eccezioni. Ma la Corte americana, supremo giudice che tutela i principî, non solo, ricorda Spencer, ha mantenuto fermo il pallino del «free speech», ma ha anche incluso il cosiddetto «hate speech». Unica eccezione (sentenza degli anni '20) è quando la libertà di parola e di espressione «crea una chiara e presente minaccia». Da qui la famosa sentenza per la quale un uomo non può trincerarsi dietro lo scudo della libertà di espressione, se urla al fuoco al fuoco in un teatro generando il panico. Un mondo in cui il linguaggio (scritti privati o pubblici, conferenze, manifesti) è controllato da un'autorità giudiziaria (o, peggio, politica come nel caso del municipio romano) è poco libero, una società chiusa dove il dissenso è morto o dev'essere clandestino. Quel poster della Onlus ProVita non difendeva solo una battaglia pro-life, ma anche un principio liberale. Ha ragione Giuliano Ferrara, quando sul Foglio mette insieme i cartelloni romani con le mammelle della Lupa che scandalizzano in Iran.
PS Amici mi chiedono di firmare una petizione contro una serie di conferenze di stampo antisemita all'Univerisità di Torino. Non ho firmato anche perché, pur detestando ciò che avviene in quella università, sarei più preoccupato di un organo governativo e centrale o giudiziario che si intromettesse nei fatti loro.
Da filo-israeliano mi batterò perché le posizioni demenziali di Torino siano ridicolizzate e farò di tutto per convincere molte persone a scansare quei luoghi. Altrettanto avrebbero dovuto fare gli abortisti a Roma. Un tempo il diritto alla libertà di parola ed espressione (anzi, ben di più) garantirono proprio a loro la vittoria.
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