Una lettera-predica con qualche errore

Una lettera-predica con qualche errore

Mi ritrovo nelle cose scritte ieri da Mario Cervi sulla predica natalizia ai bimbi fatta da Dionigi Tettamanzi, a cominciare dall'attenzione per le parole del vescovo della mia città. Dopo una vita passata a fondare i principi anche solidaristici sulla fragile ragione umana, non manco di provare attrazione per chi i valori della carità li basa sulla ben più solida fede cristiana. E ho quindi sempre il massimo rispetto per le parole di un cardinale che in supporto ai poveri fa seguire alle prediche i fatti.
E quindi con imbarazzo che mi permetto di segnalare alcune posizioni che non condivido. Tettamanzi già da vescovo di Genova mi stupì per l'apertura che fece al movimento estremistico dei no global che nel 2001 nella città della Lanterna organizzò una tragica manifestazione contro il G8. Mi sembrò allora che il vescovo si sbilanciasse troppo a favore di tesi estremistiche, certo, non credo per assorbire le dure critiche che da ambienti laicisti gli venivano per la sua rigorosa lezione di bioeticista. Ma comunque con posizioni poco nette. Conoscendo bene la violenza degli attacchi di certi ambienti comprendo come un pastore che deve tenere unito il suo popolo, abbia ben altri compiti di quelli di un commentatore che risponde solo a se stesso. Eppure sono convinto che oggi sia indispensabile uno sforzo per non cedere a posizioni semplicistiche sui fatti centrali della nostra vita sociale. Per esempio spiegare la crisi dell'autunno del 2008 solo con l'egoismo di pochi ricchi, non mi sembra un modo per educare anche dei bimbi. Certo, è sempre utile tenere un po' sotto tiro i grandi banchieri, sia globali sia italiani, ma quel che è avvenuto nel mondo è più complicato. In larga misura è stato determinato da un forte incremento di liquidità per consentire di entrare sui mercati globali a qualche miliardo di cinesi, indiani, brasiliani. E ora si avvertono i primi sintomi di decollo del luogo più devastato del mondo, l'Africa centrale. Forse il processo è avvenuto troppo velocemente ma alla fine è stato tutto tranne che uno sviluppo delle «povertà». Anche dopo la crisi di Wall Street.
Nella enciclica «Caritas in veritate» che io trovo magnifica anche se qualche mio amico liberista sostiene che non valorizza bene il ruolo del mercato, non mancano osservazioni anche dure contro le disuguaglianze. Ma uno dei punti centrali è il rifiuto del conflitto delle classi, dei poveri contro i ricchi. Non mancheranno nel futuro conflitti sindacali e più in generale redistributivi. Ma lo spirito che deve prevalere anche nelle relazioni tra capitale e lavoro deve essere cooperativo.

Non solo i ricchi non devono essere ottusamente egoisti ma anche i «poveri» devono essere aperti, non rancorosi, non odiare. La carità cristiana è un dono formidabile, chiunque lo distribuisce fa opera meravigliosa, ancora più valorizzata se si aiuta l'apertura delle menti. Anche dei bambini.

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