Alcuni lettori in queste ore ci scrivono i loro dubbi e le loro perplessità sulla linea del governo rispetto al nostro impegno militare in Libia e le polemiche che ne sono seguite, leggi caso Lega-Tremonti. Dicono di votare Pdl, sono sconcertati. Penso che parlino degli stessi dubbi del presidente Berlusconi. La differenza tra noi e lui è che noi non abbiamo l'onere e l'onore di dover prendere decisioni. Possiamo non condividere, cambiare opinione, addirittura partito, senza che questo metta a rischio nulla. Anche il premier ha le sue idee personali, e quelle sulla guerra alla Libia sono chiare. Per quello che ne so io non l'avrebbe mai fatta, per indole, per calcolo e per i suoi rapporti personali con Gheddafi. Un premier deve però prima di tutto difendere gli interessi, gli impegni e la credibilità del suo paese. E qui le cose si complicano.
Non entrare nella coalizione era impossibile. Lo imponevano il fare parte della Nato, la richiesta degli alleati di usare le nostri basi (già questo è schierarsi), la nostra storia. Obiezione: la Germania, per esempio, ha avuto la forza di dire no. Certo, ma primo non è stata chiamata, secondo non ha nessun motivo di farsi avanti. Ai più infatti sfugge che gli interessi italiani in Libia, a differenza di quelli tedeschi e come oggi documentiamo, rappresentano circa il 3 per cento del nostro pil, una montagna di soldi che non è il caso di regalare, nel dopo Gheddafi senza di noi, a francesi e americani, sottraendola alle nostre necessità per di più in un momento come questo. Sono, questi, calcoli che solo il premier deve fare, in solitudine.
Tutti gli altri, ministri e partiti di maggioranza e di opposizione, esprimono opinioni, alcune condivisibili, altre strampalate. Ma a un certo punto bisogna decidere, non su cosa è più giusto in astratto ma scegliendo la via che danneggia meno l'Italia nel suo complesso. Questa è la politica. Tirare una bomba atomica su Hiroshima, per esempio, non è certo stato bello, ma un presidente ha dovuto prendersi la terribile responsabilità in nome di un interesse superiore. E veniamo al caso Lega-Tremonti. Ieri siamo stati duri con il ministro. Ci risultava, e nessuno ci ha smentito, che si fosse mosso dietro le quinte in maniera ostile al governo per alcune decisioni (Draghi alla Banca Europea, via libera all'opa francese su Parmalat) facendo sponda sugli amici leghisti già arrabbiati di loro per il caso Libia. La critica non riguardava il ministro, al quale confermiamo tutta la nostra stima, ma il politico.
Primo perché non è il caso di aggiungere di questi tempi benzina sul fuoco, secondo perché riteniamo che un presidente del Consiglio, in quanto punto di sintesi di un organo collegiale, abbia il diritto-dovere di assumere su di sé, dopo aver ascoltato tutti, decisioni strategiche. Questo non lo diciamo noi ma lo hanno stabilito gli elettori, votandolo come premier. Per carità, dissentire è legittimo e a volte utile. Altra cosa è rivendicare il potere che spetta soltanto a lui.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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