Roma - All’incontro governo-tassisti di Palazzo Chigi è mancato uno dei due protagonisti: il governo. Con Mario Monti impegnatissimo, si pensava che ad affrontare l’ira delle ventitrè associazioni sindacali dei conducenti di auto bianche sarebbe stato il sottosegretario alla Presidenza, Antonio Catricalà. E invece è stato inviato nell’arena il segretario generale alla presidenza, Manlio Strano. L’incontro è stato molto breve. Il governo ha presentato alcune modifiche al testo già noto, che delegano ai sindaci più poteri per quanto riguarda le auto pubbliche. In sostanza, si affida ai sindaci la scelta di aumentare il numero delle licenze complessive necessarie alle diverse città, ma anche la possibilità di concederne di nuove al singolo tassista. La «patata bollente» passa così dalle mani del governo a quelle dei Comuni. Un’apertura che non ha però convinto la piazza occupata dai tassisti. Lo sciopero del 23 gennaio resta confermato.
L’incontro era nato sotto i peggiori auspici, dopo la tumultuosa protesta dei tassisti per le vie del centro della capitale. Al termine, i sindacati hanno deciso di valutare stamattina il nuovo testo. E già oggi pomeriggio si terrà un nuovo incontro alla presidenza del Consiglio. «Valuteremo le proposte, e intendiamo dimostrare al governo che la liberalizzazione dei taxi non porta concreti benefici a nessuno», commenta il presidente di Unitaxi, Loreno Bittarelli. Comunque, dicono gli autisti della Cisl, «è stato fatto un passo avanti». Ma i tempi sono stretti. Il governo ha davanti a sé poco più di quarantott’ore per mettere a punto il pacchetto delle liberalizzazioni. Approfittando del forfait di Nicolas Sarkozy, che ha costretto Monti a rinviare il trilaterale Italia-Francia-Germania, il Consiglio dei ministri si tiene infatti venerdì mattina. I principali partiti di maggioranza chiedono al governo di non accanirsi con i «piccoli», ma di affrontare le liberalizzazioni a tutto campo, toccando anche i grandi interessi. Resta sul tappeto, per esempio, la separazione della rete gas dall’Eni. E Corrado Passera conferma che a breve il ministero dello Sviluppo comunicherà le modalità che intende seguire per l’asta delle frequenze, «riconsiderando il beauty contest». Non ci sarà invece la separazione fra Poste Italiane e Bancoposta, aggiunge il ministro. Ed è praticamente tramontata anche la separazione della rete ferroviaria dalle Fs. Pare infine che sarà annacquata, rispetto agli annunci della vigilia, anche la ristrutturazione del sistema di distribuzione del carburante. «Con l’esproprio di molti impianti - prevede il presidente dell’Unione petrolifera, Pasquale De Vita - molti operatori lascerebbero l’Italia».
Confermate le misure per farmacie, avvocati, notai, professionisti in generale, anche se non si escludono modifiche dell’ultimo momento. Una liberalizzazione sui generis potrebbe inoltre riguardare le aste dei titoli di Stato. Il direttore del debito pubblico, Maria Cannata, conferma che è allo studio l’acquisto diretto online di particolari titoli pubblici destinati soltanto alle famiglie. Si tratterebbe di bond triennali, legati all’inflazione. Il modello è quello nipponico: le famiglie giapponesi detengono infatti il 90% del debito del Sol Levante, e dunque non c’è pericolo di fuga, come è invece successo in molti Paesi dell’Eurozona, Italia compresa.
Il confronto sulle liberalizzazioni è lontano dalla conclusione, ma già se ne apre un altro: quello con sindacati e imprenditori su crescita e occupazione. In questo tavolo potrebbe riapparire la questione dell’articolo 18 sui licenziamenti, espulsa dal provvedimento sulle liberalizzazioni. Nessun totem, avverte Emma Marcegaglia. Ma Cgil, Cisl e Uil vogliono un piano per il lavoro che parta da tre emergenze: Sud, giovani e donne. Chiedono la riduzione del carico fiscale per dipendenti, pensionati e famiglie, da finanziare con la lotta all’evasione.
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