Licenziato Raffarin: Chirac annuncia oggi il nuovo premier

Probabile una scelta che privilegi il sociale al liberal-capitalismo

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Alberto Pasolini Zanelli

da Parigi

I primi a tirare le conseguenze sono stati i cinesi; che, posti di fronte a un’Europa indebolita dall’esito del referendum in Francia, hanno ritirato le concessioni commerciali da poco offerte. Ma la Francia non può essere battuta anche sul tempo ed ecco perché la crisi postreferendaria procede a un ritmo da record. La sorte di Raffarin, implicitamente segnata già prima del voto, è stata ora «ufficializzata»: poche ore dopo le sue dimissioni, ci sarà la nomina, oggi stesso, del successore.
Chirac intende resistere al fuoco concentrato degli oppositori più accaniti e ora più imbaldanziti che subito hanno chiesto, con il «sovranista» Philippe de Villiers, le sue dimissioni o, con Jean Marie Le Pen, lo scioglimento dell’Assemblea nazionale. La popolarità del presidente è al suo livello più basso, per la prima volta in molti anni al di sotto del 40% e si allontana dunque, secondo ogni realistica valutazione, l’ipotesi di una terza candidatura Chirac per altri sette anni all’Eliseo. Ma fino alla scadenza del secondo settennato, nel 2007, l’epigono del gollismo classico rifiuta di lasciare la poltrona, ovvero, come preferisce metterla lui, di «venir meno alle sue responsabilità verso il popolo francese». Raffarin è invece spendibile. Non è mai stato molto amato, è alla sua terza sconfitta elettorale consecutiva e rispetto alla sua (19%) la popolarità di Chirac è straordinariamente alta, più che doppia. Tutto era stato deciso, in realtà, anche prima del voto: con un successo del sì (di stretta misura, cioè nell’unico modo possibile) il primo ministro se ne sarebbe dovuto andare. Adesso deve andarsene in fretta e, se possibile, farsi dimenticare.
Fra qualche ora sapremo chi Chirac ha deciso di chiamare a succedergli, e non è solo questione di persone. L’uomo dell’Eliseo intende, non solo per difendere il resto del suo mandato ma anche per dovere nazionale, «prendere atto» delle richieste e dei malumori dei suoi concittadini. Ma interpretarli non è facile: nel trionfo dei no di domenica si sono mescolati l’impazienza per la «bassa marea» dell’economia (in particolare della disoccupazione, nettamente superiore, per esempio, a quella dell’Italia), la sfiducia personale, la diffidenza disorientata circa le conseguenze, soprattutto economiche, di un proseguimento del cammino verso l’Europa politica.
Fra le molte contraddizioni vi è, centrale, quella fra la relativa popolarità dell’ex «uomo forte» del governo e ora segretario del partito gollista Nicolas Sarkozy e i desideri, o meglio gli istinti della gente. Sarkozy piace perché è deciso e ha delle idee chiare: però le sue idee suggeriscono troppe analogie con la tendenza «liberal-capitalista» contro cui si è mobilitata gran parte del no. Sarkozy ha proposto di ridurre le spese e il ruolo della burocrazia statale e una stretta di cinghia sulle pensioni e gli stanziamenti per l’assistenza. Egli è infine considerato il «becchino delle 35 ore».

La maggior parte dei francesi ha invece protestato soprattutto perché già il timido Raffarin avrebbe introdotto riforme troppo «liberali e anglosassoni». Ecco perché è più probabile che Chirac sposti il timone, semmai, un po’ verso sinistra. Che vuol dire Dominique de Villepin o Michelle Alliot Marie.

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