da Milano
Salvatore Ligresti, uno dei maggiori imprenditori italiani, è uscito allo scoperto e ha dato il suo appoggio al progetto del leader del Pdl, Silvio Berlusconi, per la costituzione di una cordata italiana per salvare Alitalia. Sta dunque prendendo forma la prospettiva che la compagnia rimanga in mani italiane.
«Penso ci sarà modo di essere coinvolti. Una mano bisogna darla, penso sia giusto e doveroso nei confronti del Paese, della compagnia, dei lavoratori e del turismo», ha detto ieri il presidente onorario di Premafin rispondendo ai giornalisti che gli chiedevano se il suo gruppo sarà coinvolto nella cordata per Alitalia. Ai cronisti che gli hanno poi chiesto, a margine dellassemblea di Fondiaria-Sai a Firenze, se si farà la cordata italiana per Alitalia, Ligresti ha risposto: «Le cose si fanno in silenzio, e penso che si faranno». Salvatore Ligresti è il numero uno della Premafin, la holding che controlla società non solo nel settore assicurativo, ma anche finanziario, bancario, immobiliare e sanitario. Premafin ha, inoltre, il 2% delle Assicurazioni Generali e il 4% di Mediobanca.
E proprio dal giro di Mediobanca potranno uscire nuove sorprese. Intanto la banca daffari milanese, pur non essendo disposta a mettere capitale nellavventura, potrebbe ritagliarsi un ruolo di advisory. Così come in lista per un possibile ingresso nella cordata cè il nome di un altro azionista della banca fondata da Cuccia: Marcellino Gavio (con un gruppo che spazia dalle autostrade alle costruzioni).
Bruno Ermolli, consulente del leader del Pdl, insieme a Gianni Letta, stanno lavorando da settimane alla costruzione della cordata e il prestito ponte da 300 milioni servirà per portare a termine loperazione. Il prestito secondo il governo italiano non è un aiuto di Stato, perché si tratta di un provvedimento di emergenza motivato da ragioni di ordine pubblico. Ma Bruxelles - che ha ricevuto le carte e le sta esaminando - vuole vederci chiaro.
Tra le ipotesi di cordata italiana un ruolo industriale potrebbe essere quello di Air One, la compagnia di Carlo Toto che dalla fine del 2006 sta lavorando per questo obiettivo, e attorno a essa si potrebbe coagulare un pool di altri soggetti; e come perno finanziario una o più banche (a cominciare da Intesa Sanpaolo, che ha sempre sostenuto Air One), che garantirebbero gli ingenti flussi di denaro di cui lAlitalia ha estrema necessità. Impegnativo per Air One (un terzo di Alitalia per dimensioni) fondersi con una compagnia in così profonda crisi e poter ottenere risultati tali da ripagare i capitali a prestito; i network delle due compagnie sono in parte sovrapposti (con problemi di Antitrust sul Milano-Roma), e sbilanciati sul breve-medio raggio, quello che soffre di più; Air One non apporterebbe valore aggiunto al lungo raggio (quello che fa la vera differenza tra le compagnie di linea tradizionali), sul quale sarà operativa da giugno con due aerei soltanto. Quanto al piano industriale, allacquirente di Alitalia sarà chiesto di salvaguardare il ruolo di Malpensa, scalo sul quale Alitalia ha dichiarato perdite di 200 milioni allanno. Malpensa dunque dovrebbe essere «difesa» da un parallelo ridimensionamento di Linate, che a suo tempo per lAlitalia pubblica non si era reso possibile. Sembra ormai sfumato linteresse di Air France, mentre Lufthansa, sempre sullo sfondo, ufficialmente fa sapere che «la nostra posizione non è cambiata rispetto allautunno scorso, quando abbiamo deciso di non presentare unofferta vincolante per Alitalia perché abbiamo ritenuto che gli svantaggi fossero superiori ai vantaggi».
Il trasporto aereo, per effetto della recessione e dei prezzi record del carburante, si avvia ad affrontare anni difficili; che sia per Air France sia per Lufthansa saranno resi più delicati dallarrivo in flotta degli Airbus 380, giganti dei cieli, che per essere metabolizzati (e riempiti) hanno bisogno di condizioni di mercato favorevoli. In questo contesto, Alitalia potrebbe rivelarsi una palla al piede.
Oggi avrà luogo un nuovo round tra sindacati e vertici aziendali e sul tavolo cè ora la necessità di verificare lo stato di attuazione del cosiddetto piano «stand alone».
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