Politica

Il linciaggio di Leone, primo patto stampa-pm-sinistra

Messo alla gogna coi figli per diversi "scandali": fu riabilitato, le scuse solo quando aveva 90 anni. Berlinguer e compagni, mentre lo massacravano, si alleavano con Andreotti

In principio fu Giovanni Leone. Fu il primo presidente della Repubblica a subire il linciaggio della stampa, della magistratura e della sinistra che lo costrinse a dimettersi, salvo poi essere scagionato dalle infamanti accuse e ricevere tardive scuse. Leone fu il primo presidente irriso e vilipeso, altro che il suo odierno successoree concittadino; frugarono nella vita privata della sua famiglia, cercando anche allora festini, abusi, corna e gossip. Leone aveva un duplice peccato originale che la nomenklatura di quegli anni non gli perdonava. Uno, di essere il primo presidente della Repubblica eletto da una maggioranza anticomunista e di centro-destra, con il voto determinante dei missini. Era il dicembredel ’71 e c’era già stato il trionfo della destra nazionale alle elezioni amministrative. Due, Leone aveva l’imperdonabile difetto di essereunnotabile fuori dalla cupola partitocratica, estraneo ai «giochi conciliari» come allora si chiamava il compromesso storico. Nei mesi in cui fu messo sotto accusa Leone, si stavano gettandole basi in Italia per il primo governo di solidarietà nazionale con l’appoggio del Pci. Eravamo in piena orgia di fronte unitario antifascista e di arco costituzionale, che poi partorì Pertini alQuirinale. Il fronte che abbandonò Leone al suo destino fu lo stesso che decise di lasciar morire Moro, assestandosi sulla linea dellafermezza.C’eranoZaccagnini, Berlinguer e La Malfa che fu il primo a chiedere la testa di Leone. Il Partito repubblicano in quegli anni era il garante dei poteri economici in Italia, il partito più vicino a Mediobanca, a Fiat, a Confindustria, e aveva partecipato a quel patto dei produttori, tra imprenditori guidati da Agnelli, mezza Dc, comunisti come Amendola (il capo corrente di Napolitano) e i sindacati guidati dalla Cgil di Lama. Leone era un corpo estraneo da espellere. La Dcscaricò Leone senza troppi complimenti e le sinistre lo massacrarono. Il massacro cominciò a mezzo stampa. Partì proprio dall’Espresso, madre di Repubblica. La più celebre accusatrice di Leone fu Camilla Cederna. Ma si avvertiva il tifo di sinistra, Pci, laicisti e poteri forti.

La campagna di moralizzazione contro Leone reggeva su un’ipocrisia grossolana: la sinistra che criminalizzava Leone era la stessa che si accingeva ad allearsi ad Andreotti, Kossiga (come fino a poco tempo prima lo chiamavano) e Moro che fu il principale difensore nel celebre discorso sull’affare Lockeed del ’77 del finanziamento illecito dei partiti e il primo accusato di essere Antelope Cobbler, ovvero il mitico destinatario e protagonista dell’affaire. MentrelinciavanoLeone, i moralisti della sinistra eranodispostiagovernarel’Italia con la sinistra Dc, i Freato, con la corrente andreottiana dei Ciancimino e degli Evangelisti, e con i socialisti in odore di tangenti, come allora documentava l’implacabile Candido di Giorgio Pisanò. La sinistra Dc seguita dai socialisti dell’era antecedente a Craxi, furono i primi a finanziare la politica attraverso l’uso e l’abuso del parastato, la dilatazione del potere clientelare, la crescita dello statalismo.

Quello contro Leone fu il primo golpe bianco istituzionale e fu il primo abbozzo del triangolo Stampa-Magistrati-Sinistra (il primo sms). Un mezzo precedenteera stato il golpedi piazza contro il governo Tambroni, buttato giù agli inizi degli anni ’60 dalla piazza rossa perché colpevole di guidare un governo di centro-destra con l’appoggio esterno del Msi.

Al di là del ruggente cognome, Leone non era un animale protetto, ma un fragile e isolato galantuomo del sud, ottimo avvocato e rispettabile giurista, che cantava «O’ Sole mio» nei viaggi istituzionali, si commuoveva facilmente e faceva gli scongiuri contro i manifestanti che gli auguravano la morte (fu l’unica volta che fece lui le corna). Non gli giovò nemmeno la forte cadenza napoletana. Fu pure accusato di essere poco formale e troppo colorito, un po’ come accade a Berlusconi. Salvo poi esaltare le fuoruscite impertinenti dal protocollo del suo successore Pertini. Leone fu eletto per evitare che arrivasse al Quirinale il nostro mezzo de Gaulle, Amintore Fanfani, allora sostenuto anche dalla destra.

Si temeva la svolta presidenzialista, i rumori di sciabole e gli odori di golpe erano ancora recenti e allora si preferì un prestigioso ma disarmato penalista che aveva avuto l’umiltà di guidare tanti governi balneari. Circolarono poi le leggende sugli abitanti del Quirinale: Bacco Becco Becchino e poi Beccaio e Bigotto, Bancastro e Babà. Ma nessuno prima di lui al Quirinale subì massacri e insinuazioni così pesanti.

Leone si trovò a presiedere la Repubblica negli anni più neri; lui, soldatino di latta immerso negli anni di piombo, tra stragi, morte di Calabresi, Pasolini e Moro, i giovani missini uccisi, le Brigate rosse. Troppi remavano contro di lui, a volte qualche leggerezza della sua stessa famiglia; lo mettevano in cattiva luce perfino i corazzieri, rispetto ai quali Leone sembrava Renato Rascel. Leone fu poi prosciolto, le accuse lentamente sparirono quando ormai non interessava più a nessuno la verità, alcuni si scusarono con lui in occasione dei suoi novant’anni, come Pannella e la Bonino, altri più viscidi preferirono il silenzio.Questo film mi pare di rivederlo in questi giorni. Leone fu un presidente buono, una specie di Giovanni XXIV in borghese. Leone da Napoli - il contrario di Napoleone, benché di medesima statura - accettò la defenestrazione dal Quirinale senza troppi clamori, con signorile rassegnazione.

Non volle vivere un giorno da Leone; preferì l’altra più mansueta soluzione.

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