Il vento dei referendum fa tremare l'Europa. Dopo quello greco, che ha messo a dura prova Bruxelles, gli antieuropeisti del Vecchio Continente hanno affilato le armi, pronti a cogliere l'occasione per sfilarsi dall'«odiata tecnocrazia». In Francia, Marine Le Pen promette il referendum se conquisterà il potere; in Spagna, il partito Podemos, gemello del greco Syriza, si candida a guidare il Paese con le elezioni d'autunno e potrebbe chiedere agli elettori di pronunciarsi sulle riforme amate dai mercati ma non dai cittadini; e in Austria hanno già raccolto le firme da presentare al parlamento per indire una consultazione sull'uscita dall'euro. Ma quello che fa più paura di tutti è il referendum in Gran Bretagna perché nel 2016 i cittadini non saranno chiamati alle urne per decidere sulla moneta (il Regno Unito si è tenuto stretto la sterlina) ma per uscire dall'Unione europea. Insomma, da qui alla fine dell'anno prossimo potremmo ritrovarci in un'Europa completamente cambiata e forse anche più piccola.
I segnali che arrivano da Londra non sembrano di buon auspicio. Il piano di salvataggio della Grecia ha irritato gli inglesi tanto quanto il ruolo predominante di Berlino con la sua rigida austerità. Il governo di David Cameron ha messo le mani avanti: Londra non intende sborsare un euro per il nuovo prestito ad Atene. Il cancelliere dello Scacchiere, George Osborne, ha detto chiaramente ai colleghi europei che si opporrà a qualsiasi ipotesi di utilizzo dell'Efsm, il fondo d'emergenza Ue finanziato da tutti i 28 membri. «La Gran Bretagna non è nell'euro - ha proclamato Osborne - quindi l'idea che i contribuenti britannici possano essere chiamati in causa per questo accordo greco è completamente sballata. L'Eurozona deve coprire da sola il suo conto». I giornali britannici hanno già lanciato l'allarme, paventando un esborso di oltre un miliardo di euro se Londra dovesse partecipare al salvataggio della Grecia. Non accadrà, il governo conservatore è stato molto chiaro, ma questo ridurrà i margini di trattativa di Cameron con Bruxelles. Il referendum indetto dal premier britannico per uscire dall'Ue, infatti, è un'arma a doppio taglio. Spinto dall'incalzante ascesa degli antieuropeisti casalinghi, Cameron ha pensato di rintuzzarli usando la consultazione a vantaggio del suo partito. In verità non ha alcuna intenzione di lasciare l'Europa, ma intende usare il referendum come arma di persuasione su Bruxelles per riformare i trattati, garantendo poi il suo sì all'Ue. Molti leader europei però non sono disposti o non sono in grado di fare concessioni e, in ogni caso, i tempi sono troppo stretti per modificare i trattati prima del referendum.
La tragedia greca, poi, sta cambiando l'umore dei britannici, i quali potrebbero decidere di abbandonare l'Ue e trascinare la Scozia nella secessione annunciata, scaricando così sulle spalle di Cameron non solo l'uscita dall'Europa ma anche la disunione del Paese. Non sarà facile per il premier britannico uscire dal pantano, anche perché nel Regno Unito cresce il disamore per quest'Unione a trazione tedesca e aumenta l'orgoglio per la propria autonomia e per la propria moneta, la sterlina, che giusto ieri ha toccato i massimi contro l'euro negli ultimi sette anni. E a poco servono i report delle agenzie di rating che parlano di rischi instabilità o gli appelli della Cbi, la confindustria inglese, che sottolineano l'importanza di essere pienamente membri dell'Ue per prosperare economicamente.
«L'Europa è irriformabile, fuori il prima possibile», ha detto in un'intervista al Foglio Bill Cash, veterano dei deputati conservatori. Nonostante abbia votato sì all'Europa nel 1975, oggi è super scettico e sulla sovranità nazionale non transige.
«Non sto scagionando la Grecia da ogni colpa, ma sono stati superati i limiti, i toni usati da Berlino e da Bruxelles sono inaccettabili», ha affermato Cash, spiegando che è meglio scappare da questa Europa tedesca in cui solo la Germania prospera e comanda.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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