L'ultima mossa per salvarsi: regalare immobili allo Stato

Sempre più italiani tentati dalla «rinuncia» Aumentano anche gli edifici abbandonati

L'ultima mossa per salvarsi: regalare immobili allo Stato

Se a togliervi il sonno è la casa, ma non nel senso del film horror cult del 1981, una soluzione ci sarebbe. Riacquistare la serenità rinunciando alla proprietà. Certo, siamo al limite del paradosso, ma nell'Italia che spreme i proprietari di immobili con la cinghia di tasse e balzelli (almeno tredici, tra acquisto e possesso, le elenchiamo nei grafici in alto) perfino liberarsi di un'abitazione senza alcun corrispettivo economico è diventata una strada da esplorare.

Un numero crescente di italiani negli ultimi tempi ha scoperto tra le pagine del Codice civile questa (estrema) possibilità. Lo conferma il Consiglio nazionale del notariato, che ha diffuso di recente una sorta di guida per professionisti e clienti, sempre più incuriositi. «Al fine di dismettere la proprietà immobiliare - si spiega nel documento - occorre un formale negozio di rinunzia, il quale richiede la forma scritta ed è soggetto a trascrizione. L'ordinamento, inoltre, non consente che lo stesso possa acquisire la qualifica di res nullius , essendo pertanto previsto l'acquisto in capo allo Stato». Semplificando, l'immobile dopo la rinuncia entra obbligatoriamente a far parte del patrimonio pubblico. Il caso tipico è quello di un appartamento malmesso o di un piccolo appezzamento di terreno, magari ereditati in quote da più fratelli alla morte di anziani parenti. Oppure immobili ridotti a ruderi, dispersi in campagna o sulle montagne, talmente distanti dal luogo di residenza da essere inutilizzabili. Tra Irpef, Imu e Tasi sulla seconda casa, costi di manutenzione o ristrutturazione, per case che non hanno un reale mercato né in affitto né in vendita, c'è chi sarebbe pronto a spogliarsene pur di non rimetterci fior di quattrini in tasse e spese. Secondo gli esperti, l'ipotesi rinuncia non sarebbe immune da dubbi sia per difficoltà pratiche sia sotto l'aspetto fiscale. Ad ogni modo, anche per rinunciare ad una casa bisogna pagare. Confedilizia ha calcolato che, per un immobile con rendita catastale di 250 euro e una base imponibile di 31.500 euro, si dovrebbero sborsare da 3.000 a 3.500 euro (se si applicano le imposte di registro piuttosto che l'imposta sulle successioni e donazioni, oltre alle imposte ipotecarie e catastali).

Case regalate allo Stato, capannoni privati del tetto per non pagare l'Imu, edifici abbattuti (+20% all'anno in alcune province) sono i metodi più eclatanti per disfarsi di un immobile. Eppure, giorno dopo giorno, è il puro e semplice abbandono a generare scheletri e «mostri» nei quartieri. Proprietari che lasciano alla mercé del tempo e del degrado il proprio bene, perché non ce la fanno a occuparsene o in attesa di momenti (e di regolamenti edilizi) migliori. L'ultimo rapporto Cescat-Assoedilizia contava nel 2009 qualcosa come due milioni di case abbandonate e disabitate in tutta Italia, come casolari, baite, antiche ville, cascine, case cantoniere. Duecentocinquantamila in Lombardia, 230mila in Campania, 200mila nel Lazio e altrettante tra Veneto e Trentino Alto Adige. Tutto lascia supporre, confermano gli addetti ai lavori, che il loro numero nel frattempo sia aumentato. Solo a Milano, il Comune ha schedato e mappato 160 immobili abbandonati (tra cui 39 residenze, 31 uffici, 7 edifici rurali e pure un parcheggio interrato), chiedendo ai proprietari di intervenire per la messa in sicurezza. In assenza di risposte, l'amministrazione può dare ai beni una destinazione pubblica, come per alcuni di essi è già stato fatto, mediante riqualificazione o riuso.

Nelle terre di nessuno delle città, anche porte e finestre

sbarrate fanno gola. La regia delle occupazioni si organizza su siti e blog di movimenti antagonisti e centri sociali. A «diffondere pratiche di riappropriazione e solidarietà» oggi si comincia con un hashtag: « #Occupysfitto».

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