Il Corriere della Sera ieri ha dedicato una pagina al libro che ho scritto con il collega Saverio Gaeta, Padre Pio. L’ultimo sospetto (Piemme, pp. 240), per confutare le illazioni sul santo del Gargano sollevate dal docente di storia Sergio Luzzatto nel volume da lui pubblicato lo scorso ottobre. Sono intervenuti Vittorio Messori, che ha recensito il nostro volume, e lo stesso Luzzatto, che se l’è presa con Messori e con noi. I lettori conoscono già il contenuto della polemica: basterà ricordare i giudizi sprezzanti e ironici (Padre Pio viene definito «Il piccolo chimico», «il mistico da clinica psichiatrica», il «santo dei delatori») con i quali il docente ha rilanciato il sospetto che il frate si sia procurato da solo le stimmate con l’acido e sia stato un fiancheggiatore del fascismo.
Nella replica uscita ieri sul Corriere Luzzatto definisce me e Gaeta degli «agiografi», «devoti» incapaci di comprendere l’alfabeto della critica storica, «storici dilettanti» che «scimmiottano» una lingua senza poterla parlare. Ciò che balza evidente agli occhi di chiunque abbia letto l’articolo del professore – che non difetta certo di autostima, visto che ama definirsi «lo storico del XXI secolo» nonché autore del «primo libro di storia su Padre Pio» – è la totale mancanza di argomenti e di risposte minimamente credibili ai rilievi che gli abbiamo rivolto. Siamo andati a rivedere tutti i documenti e le testimonianze, e ci siamo accorti che il suo volume, nonostante i titoli accademici insistentemente ricordati dal suo autore, faceva acqua da tutte le parti. Proprio dal punto di vista storico.
Qualche esempio. Luzzatto ricorda i sospetti sulle stimmate di Padre Pio, enfatizza una richiesta di acido fenico (usato all’epoca per disinfettare le siringhe del convento) parlando di «bottiglioni e bottigliette» di acidi quando in realtà l’unica boccetta di cui si parla in tutti i documenti oggi noti aveva una capienza di soli cento millilitri. Ma «dimentica» (oppure omette volutamente?) di citare una testimonianza fondamentale di un frate, datata anch’essa all’epoca dei fatti, che chiarisce l’uso che doveva essere fatto di quelle sostanze.
Luzzatto parla di un Padre Pio icona del clerico-fascismo e costruisce un intero capitolo sul cosiddetto eccidio di San Giovanni Rotondo avvenuto nell’ottobre 1920, quando vi fu uno scontro tra socialisti e un centinaio di aderenti al fascio. Scrive che i morti furono «undici caduti “rossi” su undici» . Tutte le vittime, a suo dire, furono «rosse». Sarebbe bastato guardare la lapide tuttora esposta sulla pubblica piazza per accorgersi che tra quei morti c’era un carabiniere, Vito Imbriani, la cui uccisione diede il via all’eccidio. Uno svarione da matita blu che certo dovrebbe consigliare al docente di storia un pizzico di prosopopea in meno. Nelle sue pagine il povero Imbriani scompare, è un fantasma, un morto che non esiste. Forse perché avrebbe messo in crisi la tesi precostituita del Padre Pio «clerico-fascista»?
Per non parlare, infine, delle famose «filmine» che accuserebbero Padre Pio di intrattenere rapporti poco limpidi con le donne, bobine delle quali il professore torinese parla nel suo volume senza mai precisare una sola volta che si trattava di registrazioni audio, non di «filmine».
Sono solo alcuni dei tanti, tantissimi esempi che abbiamo documentato nel nostro libro. Non sapendo che cosa rispondere, Luzzatto preferisce cercare di delegittimarci e sembra dire: «Voi non sapete chi sono io!». Si arrampica sugli specchi scrivendo che noi non siamo in grado di capire il suo linguaggio e il suo metodo.
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