"Macché patacca, la casa è di Tulliani" Oggi Fini tenta la video difesa sul web

Il ministro della Giustizia di Saint Lucia conferma: "La lettera è autentica, sono io l’autore. Ma non doveva finire alla stampa". E ribadisce che la società off-shore proprietaria dell’immobile a Montecarlo è del "cognato" di Fini. Il presidente della Camera tenta la difesa video. Berlusconi: se avesse dignità si dimetterebbe. Casa di Montecarlo, Elisabetta si è occupata della ristrutturazione: la prova è nelle e-mail. Spunta un avvocato: "La casa non è di Tulliani"

"Macché patacca, la casa è di Tulliani" 
Oggi Fini tenta la video difesa sul web

nostro inviato a Castries (Saint Lucia)

«It’s authentic». Autentico. Il documento del governo di Saint Lucia che identifica in Giancarlo Tulliani, «cognato» di Gianfranco Fini, il beneficiario effettivo - «beneficial owner» - delle società con sede ai Caraibi protagoniste dell’affaire immobiliare monegasco è tutt’altro che una patacca. A dirlo, tenendo gli occhiali in mano e annuendo con aria grave, come a voler dare maggior enfasi all’affermazione, è l'uomo la cui firma è in calce a quella lettera, il ministro della Giustizia dell’isola caraibica Lorenzo Rudolph Francis. L’aveva già detto per la verità. Ai cronisti del Fatto, che lo avevano rintracciato in Svizzera, Francis aveva subito spiegato che la lettera era autentica. Ma il chiarimento telefonico non era bastato a sopire le roventi polemiche che la pubblicazione del documento aveva sollevato in Italia. E così, alla fine, Francis ha convocato un briefing-lampo per chiarire, una volta per tutte, che la lettera è vera.
La missiva porta la data del 16 settembre, ed è indirizzata come «riservata e confidenziale» al primo ministro di Saint Lucia, Stephenson King. A renderla pubblica per la prima volta è stato, martedì scorso, il quotidiano di Santo Domingo El Nacional. Il giorno prima, sempre nella Repubblica Dominicana, era stato il più antico quotidiano del paese, il Listin Diario, a dare notizia dell’esistenza del documento. Ma mentre sull’antica Hispaniola ci si incuriosiva per i risvolti off-shore della italianissima querelle tra Fini e Berlusconi, nel Bel Paese si scatenava la caccia al falso. Con l’inevitabile evocazione, tra gli altri scenari da complotto, dello spettro dei servizi segreti deviati. Intanto, a Saint Lucia, i palazzi del governo, affacciati sul porto di Castries, replicavano con una lunga serie di no comment alle richieste di chiarimenti della stampa italiana, giunta in piccola rappresentanza negli ultimi due giorni. Primo ministro e ministro della Giustizia? «Off island», all’estero. Salvo, ieri mattina, ammettere che se King è ancora in Florida Francis, invece, è tornato. E poco prima di mezzogiorno Darnley Leborne, portavoce del premier, finalmente annuncia l’incontro con i giornalisti. Salta fuori anche la stampa del luogo, incuriositissima da questa strana storia europea sbarcata ai Caraibi, e così l’incontro, inizialmente riservato ai (tre) giornalisti italiani presenti, viene allargato ai cronisti locali. Il meeting è negli uffici della presidenza del consiglio, al quinto piano del «Greaham Louisy building». Prima di cominciare Francis - giacca scura, camicia a righe, viso più perplesso che nervoso - chiede come mai gli italiani sono tanto incuriositi per questa vicenda. Sorride, ripete che Saint Lucia non c’entra molto. Poi il portavoce spiega che verrà letta una dichiarazione. Lo statement è scritto a penna su un blocco giallo che il ministro tiene davanti a sé. Mezza pagina. E infatti finisce in tre minuti.
Francis spiega che è stato il primo ministro King a chiedergli di avviare l’indagine interna sulla vicenda, relativa a una compravendita immobiliare a Montecarlo e che coinvolgeva due società registrate a Saint Lucia (la Printemps e la Timara) e due società di consulenza off-shore esterne (Jason Sam e Corpag). La lettera spedita a King era relativa solo ai primi accertamenti, e non evidenziava illeciti, visto che della svendita da parte di An della casa di boulevard Princesse Charlotte, in sé, al governo di Saint Lucia importava ben poco. Si trattava di un «confidential memo», che tale sarebbe dovuto restare, mentre veniva avviata una indagine formale «i cui risultati, al termine, verranno resi pubblici». Ma, come detto, quel documento confidenziale è finito su giornali e siti web di Santo Domingo. E, da lì, in Italia. Una fuga di notizie, insomma: «L’episodio ha messo in evidenza il livello di vulnerabilità nel nostro sistema di comunicazioni», sospira Francis, che annuncia - pare di stare in Italia - di aver aperto un’inchiesta sul buco: «Come quella carta riservata sia finita nelle mani della stampa è un mistero», dice. E finisce qui. C’è solo il tempo per quella frase: «Yes, it’s authentic, genuine». Dunque è «autentico, originale» il documento che «scopre» il nome occulto dietro alle società off-shore che hanno trattato la vendita da An e poi affittato al cognato di Fini, e lo scopre identificandolo proprio in Giancarlo Tulliani. Francis fa per andarsene, risponde solo all’ultima domanda: qualcuno dall’Italia l’ha chiamata? «No, non ho avuto né pressioni né contatti con autorità italiane di alcun genere». La conferma-bis va in archivio, e stavolta a giurare sulla genuinità del documento è proprio l’uomo che l’ha firmato. Ma sul contenuto delle indagini, sui documenti che hanno spinto il ministro a dire che era Tulliani a muovere i fili di Printemps e Timara, non esce una parola.
L’indagine «formale», peraltro avviata contestualmente all’invio della lettera, quindi circa una settimana fa, dovrebbe contenere i dettagli e le informazioni che hanno permesso di «accertare», come dice la lettera, che proprio il giovane Tulliani in Ferrari era l’azionista «segreto» che ha comprato casa a prezzo di supersaldi dal partito del «cognato» Gianfranco Fini. Ma a essere maliziosi, è lecito pensare che sia un po’ strano che un paradiso fiscale ficchi il naso nei meandri segreti di se stesso così, di propria iniziativa e senza sollecitazioni? Francis, già sulla porta, sgrana gli occhi e sorride. «No, non c’è niente di strano. Che si facciamo accertamenti e inchieste interne è routine. Non è routine, invece, che queste carte finiscano sui giornali. Arrivederci».
Rudolph va via. La stampa locale smonta, interrogandosi su una storia un po’ complessa da comprendere a queste latitudini.

Restano solo i bicchieri di carta del distributore d’acqua, il ronzio del condizionatore e una battuta, questa sì maliziosa, del gigantesco portavoce del premier, Leborne: «Che succede in Italia? C’è tempesta, ora? E si può pensare che ci saranno dimissioni di qualcuno?».

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