Il macho Buffon e la grinta azzurra: «La nostra è una nazionale di duri»

Il portiere è scatenato dopo la vittoria sui cechi: «I miei compagni sono uomini veri, hanno tutti grande carattere»

nostro inviato a Duisburg
«Quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare». La celeberrima frase mutuata dal John Belushi di «Animal House» e fatta propria dal Gianluca Vialli versione calciatore, torna d’attualità anche tra gli azzurri. Perché, come dice Gigi Buffon, questa è «una Nazionale di duri, di uomini veri e con grossi attributi. E lo posso dire senza presunzione». Al di là della facile ironia per la presenza di mogli e fidanzate, la mente torna alla frase di sfida di Christian Vieri nel disastroso Europeo portoghese. Stavolta, però, Buffon vuole evidenziare più che altro la grinta dei «machi» italiani: da Cannavaro (tirato in ballo come il portiere juventino nell’inchiesta sul calcio sporco) a Materazzi passando per Gattuso. Ma anche la sua grinta: grazie a lui, l’Italia ha subito un solo gol (tra l’altro un’autorete, quella di Zaccardo contro gli Stati Uniti) come le altre grandi del Mondiale tedesco.
Buffon, è un’Italia con una difesa di ferro, ma finora brutta a vedersi.
«Forse, ma io sono convinto che alla gente piaccia: al mondiale c’è poco da divertirsi. Qui conta badare al sodo, essere concreti. Credo che alla gente piaccia il nostro spirito: guardate Cannavaro, Gattuso, Materazzi. Interpretiamo le partite come una battaglia: per batterci gli altri devono sudare sette camicie. Abbiamo altre caratteristiche: non possiamo gettare il guanto di sfida al Brasile, dobbiamo giocarcela in modo diverso».
Insomma, a lei quest’Italia piace?
«Mi è piaciuta la voglia di lottare, sono piccole espressioni che se colte nella maniera migliore ti fanno essere orgoglioso di giocare in questa squadra e con questa maglia. E vale la pena di fare cento metri di corsa per abbracciare Marco Materazzi che ha appena fatto un gol. Non mi è capitato molte volte di farlo, vuol dire che questo gesto ha un grosso significato».
E giovedì ad Amburgo ha irretito il suo amico Nedved.
«Si vede che non mi considera tanto. Altrimenti non avrebbe provato a tirare da tutte le posizioni».
La sua prova è una rivincita su una stagione vissuta a singhiozzo.
«Sì, ho giocato poco. Ma quando l’ho fatto non sono andato certo male. Penso alle due gare con l’Arsenal o a quelle con il Werder Brema in Champions League. Certo, è stata un’annata strana...».
Culminata con i deferimenti che coinvolgono anche la Juve.
«Di questo argomento non vorrei parlare, anche se una cosa la devo dire. Credo di avere vinto gli scudetti per qualcosa in più che ho dato in campo. Se non è così, me lo devono prima dire e poi sancire con delle sentenze. Che arriveranno fra un po’ di tempo, inutile mettere insieme un fiume di parole inutili. Ora concentriamoci sul mondiale».
Nedved ha detto che la Juve ha sbagliato e merita di pagare.
«Sono opinioni personali e le rispetto».
Ora c’è l’Australia, un avversario alla vostra portata?
«Obiettivamente è una squadra preferibile ad altre più accreditate. Penso al Brasile, ma non solo. Però hanno grandi qualità agonistiche, intraprendenza, fiducia, fanno molti gol. E soprattutto non hanno molto da perdere, oltre ad avere caratteristiche simili a quelle degli Usa. Per noi sarà importante arrivare alla partita di Kaiserslautern nel pieno delle forze psicofisiche, più quelle psicologiche che quelle fisiche. Sono sicuro che non sbaglieremo l’approccio come abbiamo fatto contro gli Stati Uniti: questa è una partita da “dentro o fuori”. E quelle l’Italia difficilmente le sbaglia».
A proposito di Australia, lei c’è stato in vacanza.
«E me ne sono innamorato, è un posto dove vorrei andare a vivere, un po’ Europa e un po’ America. Con quello spirito di libertà che mi si addice».
Ora ritroverete Hiddink, che quattro anni fa vi eliminò con la Corea.
«Hiddink è un grande tecnico, lo dicono i risultati che ha ottenuto anche con squadre di livello non eccelso. Per fortuna però è passato tanto tempo, le cose sono molto diverse. Gli abbiamo fatto passare delle notti di esaltazione, è l’ora di prendersi la rivincita».
A proposito di Lippi, perché non riesce a risultare simpatico? «Perché è uno tutto d’un pezzo, non accetta compromessi.

È uno eccezionale: non dà la formazione a voi, ma fino al giorno della partita non la dà neanche a noi. È una forma di rispetto».
Questa Nazionale a molti ricorda la sua Juventus.
«Anche a me e non solo ora, dalla prima partita. Ma di questi tempi meglio non parlare della Juve...».

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