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Mafia, Brusca faceva affari in carcere: "E' indagato per truffa e riciclaggio"

Giovanni Brusca, uno degli esecutori materiali della strage di Capaci, poi "pentito", gestiva soldi dal carcere. In cella sequestrati un computer, cd rom e lettere. Mantovano: "Rivedere posizione del pentito"

Mafia, Brusca faceva affari in carcere: 
"E' indagato per truffa e riciclaggio"

Roma - E' in carcere da tempo Giovanni Brusca. Ma sarebbe riuscito lo stesso, dalla cella di Rebibbia, a gestire un tesoro nascosto utilizzando dei prestanome e continuando a compiere dei reati, tra i quali il riciclaggio. L'ex boss della mafia, uno degli esecutori materiali della strage di Capaci, poi diventato collaboratore di giustizia, è indagato dalla Direzione distrettuale antimafia di Palermo per riciclaggio, fittizia intestazione di beni e tentata estorsione aggravata.

Pc, cd e appunti sequestrati Un computer, una ventina di cd-rom, manoscritti, appunti con numeri e indirizzi telefonici stranieri e corrispondenza epistolare con una donna palermitana: è quanto le forze dell’ordine hanno sequestrato a Giovanni Brusca, nel penitenziario romano di Rebibbia. I carabinieri, su mandato della magistratura di Palermo, si sono presentati alle 4 della notte scorsa e hanno portato via molto materiale, mentre gli inquirenti stanno interrogando il pentito al quale sono contestati i reati di concorso in tentata estorsione, l’intestazione di beni a prestanomi, e il riciclaggio.

Il blitz I carabinieri del gruppo di Monreale hanno eseguito una serie di perquisizioni domiciliari nelle province di Palermo, Roma, Milano, Chieti e Rovigo nell'ambito di un'inchiesta che coinvolge anche alcuni familiari e persone vicine al boss. L'indagine è scaturita da una serie di intercettazioni effettuate dagli investigatori nell'ambito della cattura del latitante Domenica Raccuglia che hanno fatto emergere la disponibilità, da parte della famiglia Brusca, di beni che non sono ancora stati individuati.

Tradito da intercettazioni e corrispondenza "Brusca è un collaboratore di giustizia e non è sottoposto alle maglie strette e rigorose come i mafiosi al 41 bis. È un detenuto e proprio in quanto detenuto ci è consentito poterlo controllare. In questo caso dalle intercettazioni e anche dalla corrispondenza abbiamo raccolto questi movimenti". Lo afferma il procuratore aggiunto Antonio Ingroia che sta coordinando l’indagine sul "tesoro" gestito dal carcere dal pentito.

Mentito sul patrimonio In una lettera inviata a un prestanome avrebbe ammesso di avere mentito riguardo la consistenza del suo patrimonio, da difendere a ogni costo, anche minacciando pesantemente suoi fedelissimi che si erano prestati a proteggere i suoi beni. Per questo motivo, oltre che di fittizia intestazione di beni e di riciclaggio, Brusca deve rispondere anche di tentata estorsione aggravata. "Non bisogna mai dimenticare - sottolinea Ingroia - che sono sempre ex criminali. Statisticamente l’indice di pericolosità si riduce al momento in cui drasticamente collaborano. Noi parliamo di assassini, stragisti, di uomini cui la loro vita è stata criminale. In questo caso ovviamente non si parla di fatti violenti o fatti di sangue, ma siamo in presenza di attività prevalentemente economica, di reinvestimenti di soldi, sottrazione allo Stato di beni perchè i collaboratori quando iniziano a collaborare devono dichiarare tutti i loro beni".

Il boss: sono risparmi di una vita È terminato l’interrogatorio di Brusca, sentito nel carcere di Rebibbia a Roma dai pm della dda di Palermo. Sui 188 mila euro trovati a casa della moglie Brusca ha detto che si trattava "dei risparmi di una vita". L’ex boss ha poi parzialmente ammesso di avere intestato beni da lui definiti, però, di poco conto all’imprenditore Salvatore Sottile. La circostanza era emersa da una lettera scritta dall’ex capomafia al prestanome: nella missiva Brusca ammetteva di "avere omesso spudoratamente di riferire di quei beni ai giudici" e minacciava l’imprenditore per invitarlo ad obbedire. Mentre sugli investimenti che, secondo i pm, l’ex boss stava facendo tramite il cognato, il detenuto ha sostenuto che si trattava di "meri progetti".

Capaci e l'omicidio Di Matteo Brusca, capo del mandamento mafioso di San Giuseppe Jato, fu arrestato il 20 maggio del 1996 mentre era latitante con la famiglia a Cannatello (Agrigento).

Oltre che per la strage di Capaci nella quale persero la vita il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesco Morvillo e tre agenti di scorta, il boss è stato condannato come mandante del sequestro e dell'uccisione del piccolo Giuseppe Di Matteo, figlio del pentito Santino che insieme a Brusca era tra gli organizzatori dell'attentato a Falcone. 

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