Il governo Berlusconi gode di buona salute dinanzi agli elettori e il presidente del Consiglio si consolerà con i sondaggi. Ma nella maggioranza vi sono anche linguaggi diversi. Il fatto che essa sia intitolata alla persona del leader suscita un problema nei suoi alleati: tutti pensano a un futuro dopo Silvio Berlusconi.
Questo conduce a non sottolineare abbastanza il fatto che, il 13 e 14 aprile, è nata una nuova maggioranza che rappresenta l’Italia moderata, un centrodestra distinto dal linguaggio di sinistra come linguaggio legittimante. Che alle origini di tale maggioranza vi sia anche la Lega, che ha rappresentato la ribellione del Nord alla Democrazia Cristiana, non toglie il fatto che essa sarebbe stata schiacciata se la sinistra avesse avuto il governo del Paese e Berlusconi non fosse sceso in campo.
Il federalismo fiscale costituisce un punto fondamentale per l’attuale maggioranza e la Lega non può porlo come trasversale rispetto ad essa. Quando Umberto Bossi dice che il federalismo fiscale non è né di destra né di sinistra dimentica che, se il centrodestra non avesse vinto su scala nazionale sulla sinistra, non avremmo avuto la riforma di cui oggi egli mena vanto.
Bossi ha scelto la politica nazionale, non quella padana, anche se la Padania rimane sempre il suo sogno. Ma la linea nazionale richiede che vi sia una maggioranza di centrodestra in tutto il Paese, anche nel Mezzogiorno. Il Popolo della Libertà l’ha ottenuta e la Lega ha sostenuto l’impegno di Berlusconi a Napoli e del ministro Roberto Maroni contro la camorra e per la liberazione di Lampedusa dall’assedio dell’immigrazione.
La sinistra non è in grado di sostenere alcuna politica nazionale: essa si sta dividendo nelle sue componenti, sia in quelle correntizie che in quelle territoriali. La sinistra rimane ancora avversa alla maggioranza perché non può fare a meno delle sue voci estreme. Antonio Di Pietro ha tolto spazio agli antagonisti e ha radicalizzato una posizione estrema: il sostegno alla magistratura come potere dominante dello Stato. L’ex pm rappresenta perciò la sfiducia nella democrazia.
Il federalismo fiscale può essere assunto solo come opera della maggioranza, che sola può fare accettare al sud una politica nata nelle regioni del nord per esprimere la loro differenza. La Lega non può considerarsi una variabile indipendente dalla destra e dalla sinistra. È organica alla politica di centrodestra, e lo è soprattutto in una questione chiave: la politica dell’immigrazione. Qui deve sostenere una differenza «etnica» tra italiani ed extracomunitari, una posizione che la sinistra non potrà mai fare propria, perché essa nasce dalla classe e non dal territorio. Qui il territorio è l’Italia nel suo insieme. E lo sarebbe anche se la Padania fosse oggi una realtà.
In un regime democratico, la maggioranza è maggioranza perché l’identità popolare si riconosce in essa. E la democrazia è democrazia in quanto la maggioranza governa. Questo va ricordato anche al presidente della Camera Gianfranco Fini, che ha sostenuto la «terzietà» del Parlamento rispetto a governo e opposizione. Ma un regime parlamentare è democratico in quanto la maggioranza governa con il diritto che il popolo le ha conferito attraverso il voto. Il regime democratico funziona solo laddove funziona la maggioranza che sostiene il governo che il popolo ha scelto. Il dialogo non è il principio della democrazia. Essa è un regime di pacificazione del conflitto, che deve essere espresso legittimamente per consentire la dialettica politica.
Silvio Berlusconi va stretto alla sua maggioranza, ma non al suo popolo. E il governo è più che mai necessario come governo della maggioranza in un momento nel quale il Paese attraversa una crisi economica che richiede l’azione decisa dello Stato.
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