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Il clandestino nel Cpr albanese chiede asilo, i giudici: deve tornare in Italia

La sentenza della Corte d'Appello di Roma trasforma l'escamotage di un marocchino nell'ennesimo tentativo di disinnescare il Protocollo con l'Albania

Il clandestino nel Cpr albanese chiede asilo, i giudici: deve tornare in Italia
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Passata la Pasqua (e la morte del Papa), gabbato lo Santo. La magistratura più ideologica continua a sfornare giurisprudenza creativa sull’immigrazione e sfida il Parlamento. Secondo una sentenza di otto pagine della Corte d’Appello di Roma se uno straniero chiede la protezione internazionale dopo essere stato trasferito nel Cpr di Gjader in Albania deve essere riportato in Italia.

La sentenza in cui si dispone «l’inapplicabilità alla fattispecie in esame del Protocollo Italia-Albania» riguarda un cittadino marocchino che era stato trasferito nell’hotspot albanese lo scorso 11 aprile assieme ad altri 39 clandestini con decreto di espulsione. Secondo la sua fedina penale, a carico di questo marocchino in Italia dal 2021 pende una condanna penale: da qui la decisione della Prefettura di espellerlo dal territorio italiano in data 31 marzo.

Secondo quanto riporta l’agenzia Ansa, nel corso della sua permanenza del Cpr lo straniero ha manifestato la volontà di presentare una richiesta di asilo. Secondo la normativa, la richiesta farebbe scattare una nuova udienza di convalida che per competenza spetta ai giudici di Roma. Ha poca importanza, per la Corte d’Appello, il fatto che la richiesta sia strumentale, in quanto mai fatta prima ma soltanto a seguito della condanna penale e della richiesta di espulsione. Chi si occupa di immigrazione lo sa benissimo, eppure secondo il giudice estensore della sentenza «la domanda di protezione internazionale formulata sul territorio albanese, equiparato, ai soli fini del Protocollo Italia-Albania e dello svolgimento delle procedure ivi previste, a zone di frontiera o di transito deve considerarsi validamente presentata come richiesta di asilo rivolta allo Stato italiano».

È un cavillo che sfrutta la normativa internazionale sulla richiesta di asilo, una modalità che presto la normativa Ue potrebbe ulteriormente limitare o circoscrivere ma su cui in questa fase di conflitto con le politiche anti migratorie del governo i giudici italiani non intendono transigere. Scrive il magistrato: «La volontà di richiedere la protezione internazionale è stata manifestata durante il trattenimento in corso presso il Cpr di Gjader, dove il cittadino straniero - si legge - è stato condotto coattivamente, senza il suo consenso e senza che, durante il trasferimento, sia venuto meno il titolo di trattenimento o che vi sia stata incidenza alcuna sulla procedura alla quale lo straniero è stato sottoposto in Italia, talché deve ritenersi che la domanda sia stata validamente presentata, nel corso della medesima procedura, dinanzi allo Stato Italiano».

Quindi, secondo la sentenza, lo status dello straniero da clandestino pronto per essere espulso si dovrebbe trasformare in richiedente asilo.

Da qui la decisione di riportarlo in Italia perché non è più «nelle categorie di soggetti individuati dal Protocollo» e nei suoi confronti «non sono applicabili le procedure previste», perché secondo la legge il caso sottoposto all'esame della Corte non è espressamente previsto né nel Protocollo né nella ratifica dell’intesa con l’Albania, in quanto la norma esclude il trattenimento di un richiedente asilo «sia sotto il profilo soggettivo che sotto il profilo oggettivo». Eccolo, l’ennesimo escamotage giuridico che la magistratura utilizza per vanificare le decisioni del Parlamento.

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