Cronaca giudiziaria

Bomba giudiziaria su Michele Emiliano: ecco cosa rischia

Il reato contestato è finanziamento illecito in merito alla campagna elettorale delle primarie contro Renzi

Bomba giudiziaria su Michele Emiliano: ecco cosa rischia

Il pm di Torino ha chiesto la condanna a un anno di reclusione e 90 mila euro di multa a danno del governatore della Regione Puglia Michele Emiliano. Il pm Giovanni Caspani ha proposto la stessa pena per il suo ex capo di gabinetto Claudio Stefanazzi, ora parlamentare del Pd. E otto mesi per gli imprenditori Vito Ladisa e Giacomo Mescia. Il reato ipotizzato è di finanziamento illecito, relativo alle primarie del Pd in cui Emiliano era candidato contro Matteo Renzi e Andrea Orlando. Solo successivamente infatti Csm e Corte Costituzionale gli hanno vietato di iscriversi e fare vita di partito finché non si dimette dalla magistratura.

Emiliano ha anche provato a trasferire il processo a Foggia, forse considerata più vicina, ma la procura di Torino ha sollevato conflitto di attribuzione, che la Corte di Cassazione ha risolto ritenendo che fosse il capoluogo piemontese la sede deputata per definire la vicenda.

Secondo l’accusa due imprenditori Giacomo Mescia (settore energia) e Vito Ladisa (patron delle mense pubbliche ed editore dell’Edicola del Sud) avrebbero pagato parte delle spese all’agenzia di comunicazione che si occupò della campagna elettorale di Emiliano, senza registrarlo. “Forse in passato quando la sentivo pronunciare da altri commettevo l’errore di considerarla una frase fatta: ora dico che confido nella giustizia. Ho 63 anni e ho sempre cercato di comportarmi bene, sia nelle cose importanti che in quelle meno importanti", ha affermato Emiliano, concludendo la dichiarazione spontanea, che ha reso stamane al Palazzo Bruno Caccia. “Mi sono candidato molte volte – ha affermato il governatore pugliese – e ho sempre seguito una regola: a occuparsi della raccolta dei finanziamenti doveva essere l’associazione Piazze d’Italia, che era molto attenta a scegliere gli interlocutori. La separazione fra l’indirizzo politico della campagna e i profili amministrativi fu netta anche in occasione delle primarie”. L’Associazione Piazze d’Italia, che ha il solo scopo di raccogliere il suo finanziamento elettorale, è formata dal parlamentare Pd Ubaldo Pagano, il presidente di Aeroporti di Puglia Antonio Vasile, e altri direttori, presidenti e membri di cda di agenzie pugliesi, nominati da Emiliano.

Emiliano durante il processo ha ricordato che era scontento del lavoro svolto da Dotti “perché, senza dirci nulla, aveva riciclato lo stesso formato della campagna elettorale di Debora Serracchiani in Friuli-Venezia Giulia". Quando l’imprenditore cominciò a sollecitare il pagamento della prestazione, racconta ancora, arrivando a chiedere un decreto ingiuntivo, Emiliano discusse la situazione con i collaboratori: "Per me era importante non passare per uno che non paga, tanto più che la questione era finita sui giornali. Con Dotti non parlai: non avevo tempo e non volevo dirgli cosa ne pensavo. Ero talmente seccato che dissi ai collaboratori di sistemare la cosa: “se avete i soldi pagate, sennò ve li do io”. Loro risposero: “non preoccuparti, ce ne occupiamo noi”. Non sentii più parlare della questione fino a quando ricevetti un messaggio da Dotti: “Sistemato tutto”. Risposi solo “va bene”, sempre senza aggiungere quel che ne pensavo”. “Mi spiace – ha concluso Emiliano rivolgendosi al tribunale – avere impegnato tanti anni il sistema giudiziario, i magistrati di Bari e di Torino. L’unica consolazione che posso offrirvi è che ho sofferto quanto voi”.

Il parlamentare ed ex capo di gabinetto Stefanazzi ha dichiarato che dallo staff elettorale gli chiesero di “interpellare degli amici per fare fronte al pagamento dei ventimila euro. E io – ha detto ancora – pensai subito a Giacomo Mescia, un amico di cui avevo sempre apprezzato le doti di affidabilità e correttezza, che si disse disponibile. Poi non me ne occupai più”. Vito Ladisa invece avrebbe indicato il suo versamento come il compenso per una campagna pubblicitaria in favore della società.

In tribunale, Dotti, il responsabile dell’agenzia torinese, avrebbe raccontato di aver incassato il denaro pattuito con Ladisa e di aver considerato estinto, per motivi del tutto indipendenti, il credito che vantava nei confronti di Emiliano. Ai magistrati che gli hanno chiesto le ragioni di questa decisione, Dotti avrebbe risposto chiarendo di avere fatto, in quel modo, "un investimento" sul mercato pugliese. Il sottoufficiale della finanza che ha condotto le indagini invece, in merito alla fattura da 24mila euro pagata da Mascia ha raccontato: “Nella prima email l'oggetto era "consulenza comunicazione Michele Emiliano" Un commercialista di Margherita (la società di Mescia) rispose chiedendo se si poteva modificare. Nel messaggio successivo il nome di Emiliano non compariva più".

"Ti dispiace se non ti paga Emiliano ma qualcun altro?”. Questo ha raccontato invece Dotti, titolare dell'agenzia di comunicazione torinese. Oltre alla campagna per Emiliano, Dotti avrebbe anche svolto un lavoro per Ladisa legato alla campagna di sensibilizzazione ambientale 'Yes you green’. Perché Emiliano, con tutte le famose agenzie di comunicazione politica pugliesi, decise di farsi curare la campagna da una che stava a Torino, e che a lui neanche piacque, resta un mistero.

"Con Michele Emiliano avevo un ottimo rapporto - ha raccontato Dotti - Scherzavamo insieme per il fatto che fisicamente ci somigliamo molto. Ma dopo le primarie del Pd del 2017 non l'ho mai più sentito. Dovevo essere pagato per il lavoro che avevo svolto e le mie rimostranze le mandavo al suo staff, bombardandolo di messaggi whatsapp. Provavo a contattare anche lui, ma non rispondeva". "Era una 'mission impossible' perché davanti a lui c'erano Matteo Renzi e Andrea Orlando.

In effetti arrivò terzo con un ampio distacco".

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