Politica

Dal «Manifesto» alla Rai passando da casa Agnelli

Classe ’54, ha iniziato da corrispondente dalla Sicilia del quotidiano comunista

Luca Telese

da Roma

Intanto la faccia, perché ci sono vite che si possono raccontare con un primo piano. E Gianni Riotta il primo piano ce l’ha. Faccia da «bravo ragazzo» che pare stampata, occhiali «woodyalleniani», basette rassicuranti, chi l’ha conosciuto nei primi anni Settanta, quando arrivava da Palermo a Roma, nel grande cortocircuito biografico de il manifesto, dice che era praticamente identico ad oggi. Riotta, infatti, è di quelli che da ragazzi sembrano molto più vecchi della loro età, e che da da vecchi sembrano molto più giovani: al neo-direttore del Tg1 non gli daresti i 52 anni che ha.
Classe 1954, palermitano, grande tifoso di calcio, che altro? La vita ha strane traiettorie, e il suo primo bivio Riotta lo incontra proprio a il manifesto. Allora nelle stanze di via Tomacelli si costruiva un «partito-giornale» a sinistra del Pci e a destra di Lotta continua. E quando il «partito-giornale» arrivava in provincia gli incarichi veri erano solo due: un compagno faceva l’organizzatore politico e l’altro diventava corrispondente. La sliding door del giovane Gianni fa sì che il suo compagno dell’epoca Claudio Riolo finisse comandato a occuparsi del partito, e lui a raccontare le sicilie, le storie, le mafie, un pezzo di sud. È già interista sfegatato, come la metà dei ragazzini cresciuti con l’Inter di Sarti-Burgnich-Facchetti, eccetera. Il «mago» Helenio era arrivato nel 1964, e Gianni è rimasto neroazzurro, giornalista e narratore. Riolo oggi fa il professore all’Università di Palermo: se gli davano l’altro incarico chissà se sarebbe mai arrivato al Tg1. Nei suoi curriculum Riotta, quando deve riassumere, scrive: «Ha studiato Logica all’università di Palermo, Giornalismo alla Columbia University di New York». Ma a il manifesto incontrò la sua compagna di una vita, Marila Gennaro (stimata ricercatrice), e divenne subito il beniamino dei «padri fondatori», Valentino Parlato, Rossana Rossanda e soprattutto Luigi Pintor. Ti raccontano che all’inizio degli anni Ottanta, insieme a Giorgio Casadio (oggi a La Repubblica, interista e riformista come lui) aveva in mente una rivoluzione alla Libération: un giornale meno ideologico, più leggero, aperto ad azionisti, meritocrazia, lettori. Furono sconfitti. E a sbarrargli la strada fu proprio Pintor. «Forse - ammette Guido Moltedo, oggi capo degli Esteri di Europa all’epoca anche lui redattore - aveva ragione lui».
Sta di fatto che sconfitto nella battaglia «modernizzatrice» se ne va a New York, e lì c’è il nuovo bivio che gli cambia vita. La sua faccia da bravo ragazzo era un talento, ora diventa mestiere. Con la stessa facilità con cui era diventato pupillo dei «padri fondatori», si radica nella comunità dei corrispondenti. Ugo Stille lo considera un prodigio, Furio Colombo gli apre le porte del mondo Fiat, l’Avvocato lo trova gradevole e preparato (un giorno lo designerà vicedirettore de La Stampa) e arriva a Il Corriere della Sera. Chi non lo ama ti racconta questa meravigliosa attitudine alle pubbliche relazioni con un sorriso sulle labbra. È il tipo - ti dicono - che ti cita nell’articolo, e che il giorno dopo ti chiama per dirti: «Hai visto che ti ho citato?». Chissà. Vero è invece un aneddoto recente, l’incontro in cui presentando il cardinal Angelo Scola dice: «È il mio padre spirituale. Anche se lui non lo sa» (comprensibile lo stupore del prelato).
La faccia di Riotta è anche faccia mediatica da quando sbarcò in tv a Raitre: Angelo Guglielmi fu conquistato dal bravo ragazzo che ci sapeva fare, e gli affidò il Milano-Italia post lerneriano: ma il suo stile impeccabile non era il viatico ideale per il palco gladiatorio della nazione divisa. C’è pure un Riotta narratore: inizia con un libro di racconti che oggi è una buona epigrafe (Cambio di stagione, Feltrinelli) e contiene un grandissimo racconto sul muro che crollava, Fidarsi di Ben Gunn. È come se i protagonisti delle sue storie avessero lo slancio spericolato che a lui manca nella vita: il Riotta narratore sogna l’Isola del tesoro, e i principi delle nuvole, quello reale ha camicie button down avvitate sullo sterno e studia da direttore da una vita. Da ragazzo, a Roma cenava da «Cesaretto» uscendo dal giornale, con Stefano Benni o Stefano Bonilli; da uomo ha trovato la sua patria elettiva a New York: casa affacciata su Central park e pasti nei diners della metropoli. Anche Romano Prodi è rimasto sedotto da quella faccia da bravo ragazzo (oggi) ulivista, al punto da dire - secondo Dagospia - «O passa lui, o non passa la finanziaria». Il Professore avrà sicuramente scherzato, ma intanto dalla Cina chiede: «Riotta piace a tutti! Perché dite che piace solo a me?».

Già, perché? L’unico rischio al Tg1 (dove ancora una volta segue le orme di Lerner) è che quella faccia da bravo ragazzo - che fu prima talento, e poi mestiere - adesso non diventi una condanna.

Commenti