Le manovre di Casini, l’ex dc pronto a svuotare il Pd

Il leader Udc ora è il più accreditato a diventare il candidato premier del centrosinistra. I democratici che preferiscono Vendola non sono d'accordo. E la base centrista storce il naso

Le manovre di Casini, l’ex dc pronto a svuotare il Pd

Roma - Siamo in grado di svelarvi chi ha già vinto il congresso del Pd. Non è Dario Franceschini, il segretario uscente privo di forza negli apparati periferici ma ampiamente sostenuto dall’ampia pattuglia dei nuovisti capitanata da Walter Veltroni. Non è Pierluigi Bersani, l’uomo che viene dal Pci sospettato di voler dar vita alla riedizione dei vecchi partiti della sinistra sostenuto da D’Alema. Né è Ignazio Marino, il chirurgo dei trapianti miracolosi che dovrebbe ridare vitalità al corpo stremato del Pd. Il personaggio di cui parliamo non viene dalla sinistra, anzi è ne stato un fiero avversario. È come Franceschini un democristiano, ma ha militato nelle correnti di destra. Come Bersani fa parte della Casta da tempo immemorabile, ma si è messo alla guida di una piccola e aggressiva formazione politica. È bolognese, ma non è amico di Prodi. È più simpatico dei tre candidati alla segreteria del Pd messi assieme. In ogni caso è più furbo di loro.
Avete capito che stiamo parlando di Pier Ferdinando Casini. È lui il protagonista assoluto del congresso del Pd. Come ogni bravo democristiano, sta riuscendo a trasformare una sconfitta politica in un successo personale. Dopo aver navigato nelle acque agitate della vecchia Casa della libertà, è stato spiazzato dal «discorso del predellino» di Berlusconi. Quando il premier annunciò la nascita del partito unico del centro-destra, Casini pensò di alzare il prezzo decidendo di rimanerne fuori. Inutilmente. Andarono avanti senza di lui e per l’ex presidente della Camera si affacciò l’incubo della emarginazione e della irrilevanza. Ma un bravo democristiano non si arrende mai e Casini si guardò attorno e scoprì un nuovo terreno da arare. La sinistra di Veltroni era andata incontro a una rovinosa sconfitta e soprattutto era stata messa sotto accusa la tesi del partito di centrosinistra a vocazione maggioritaria. Sia i post-veltroniani sia gli anti-veltroniani riscoprirono il primato delle alleanze. Un vecchio segno grafico faceva così la ricomparsa nell’immaginario della sinistra. Il trattino. Quel trattino equivaleva a un jackpot. E il trattino divenne la bandiera di Casini.
Molti pensano che il dato sia stato tratto e che il destino del fondatore dell’Udc sia ormai segnato. Il segretario sarà Bersani o Franceschini o Marino, ma il futuro candidato premier del centro-sinistra sarà lui, l’ex presidente della Camera. La prova generale dell’alleanza dovrebbe essere la prossima consultazione regionale. Udc e sinistra insieme in molte regioni e almeno due candidati presidenti al partito centrista. Per gli strateghi di sinistra i giochi sono già fatti. Ma non tutti i conti tornano.
Non tornano ad esempio i conti nel Pd. L’alleanza con Casini trova diversi oppositori. In primo luogo tutti quelli che sognano una grande alleanza di sinistra che abbracci sia Vendola sia Di Pietro. È un’area di partito trasversale che raggruppa prodiani, veltroniani e correnti di sinistra che non si rassegnano all’idea di cedere lo scettro a un uomo che per un decennio è stato dall’altra parte della barricata. Contro questa prospettiva potrebbe persino essere agitato lo spettro di una scissione. Michele Salvati, ideologo del Pd, ha descritto così questo scenario sul Corriere della Sera di ieri: «Un’alleanza con l’Udc in nome dell’obiettivo di una legge elettorale proporzionale senza premio di maggioranza» avrebbe come «costo l’abbandono dell’intera strategia su cui si erano mossi l’Ulivo e il Pd durante la seconda Repubblica».
È al tempo stesso difficile che il Pd possa cedere il posto di candidato presidente di Regione là dove pensa di poter rivincere. Prendiamo il caso del Piemonte dove l’alleanza con l’Udc è già stata sperimentata nelle ultime amministrative e dove l’Udc chiederebbe la presidenza per l’on. Vietti. Appare difficile che Mercedes Bresso, presidente uscente, possa fare un passo indietro e che Sergio Chiamparino accetti il sacrificio della sua collega. La trattativa si presenta così lunga e difficile e può incagliarsi di fonte a una serie di no.
Non tornano neppure i conti per l’Udc. Il partito di Casini ha un elettorato fondamentalmente di destra disponibile alla «teoria dei due forni», cioè ad alleanze ora con il centro-destra ora con il centro-sinistra, ma difficilmente accetterebbe una radicale svolta a sinistra. Casini sa che non può correre il rischio di perdere questa parte del suo mondo soprattutto nel Mezzogiorno. Da qui possono venire anche i maggiori dispiaceri per l’ex presidente della Camera. Il nascente partito del Sud eroderebbe gran parte dell’elettorato dell’Udc se questo partito si presentasse come alleato del centro-sinistra. Questo pericolo spingerebbe Pier Ferdinando Casini verso un’ancora lunga navigazione solitaria. Chi lo conosce pensa che il capo dell’Udc non abbia alcuna voglia di imbarcarsi in un’avventura che sulla base dei sondaggi è destinata all’insuccesso.
La vera strategia di Casini è un’altra. Piuttosto che farsi incoronare anzitempo come il nuovo Prodi, Casini spera che il dibattito nel Pd liberi alcune forze. In una recente intervista alla Stampa ha dichiarato che sono molti i dirigenti del Pd pronti a trasferirsi nel suo partito. Al tempo stesso siamo alla vigilia della discesa in campo della fondazione creata da Montezemolo e Abete che appare come il vero laboratorio di un nuovo partito centrista.

Al tempo stesso ambienti vicini a Casini raccontano che l’ex presidente della Camera si illude di poter ereditare non solo uomini e consensi dal centro-sinistra ma anche dal centro-destra.
Per questo la tentazione più forte per Casini è quella di non scegliere. Il Pd gli fa il regalo congressuale di considerarlo indispensabile. E questo per ora gli basta.

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