Elsa Airoldi
da Milano
Il maestro studia nel silenzio. Il maestro crede alla missione delluomo e vede nella musica il più elevato mezzo di catarsi. Il maestro osserva le note di spartiti e partiture e gli paiono segni morti in attesa di incarnarsi nello spirito e nella spiritualità. Il maestro non ha mai voluto dirigere musica che non facesse parte della sua vita, perché musica e vita sono le stessa cosa. Quando infatti la bacchetta dà il primo attacco e la mano si muove nel vuoto il maestro si trasforma lui stesso in ritmo e melodia. Il maestro non ama farsi chiamare maestro, perché quando è lassù, sul podio, la sua funzione è la stessa dei tanti seduti ai leggii, tutti, come lui, fedeli servitori della musica. Non a caso il maestro ricorda ancora con orgoglio il giorno che divenne ultima viola dell'Orchestra dellAugusteo di Roma.
Questa storia, assieme a quella della nascita a Barletta nel 14, al ringraziamento alla vita che gli ha dato le fortune della Fede, della Musica e dellAmore, è carpita a una proiezione di cinque anni fa, anteprima di un filmato della televisione svizzera (regia di Daniele Abbado e Luca Scarzella, voce fuori campo di Lidia Bramani). Lui, Carlo Maria Giulini, era presente. Adesso Giulini non cè più. Nelle stesse ore dei funerali che si tengono a Bolzano la Scala lo ricorda spalancando le sue porte alla città. Come è sempre avvenuto per i grandi, da Toscanini a Gavazzeni. Perché appunto anche Giulini appartiene al mito Scala. Nel quale è entrato esattamente cinquantanni fa, con la Traviata Callas-Di Stefano-Visconti. Ma il maestro, che presto avrebbe abbandonato la lirica («Manca il tempo per armonizzare la varie componenti») a esclusivo favore del repertorio sinfonico, lega il nome soprattutto alla Filarmonica della Scala, rimasta nelle sue mani durante il lungo interregno tra Abbado e Muti. Circa centocinquanta concerti.
La breve cerimonia che vede in platea Fontana e Lissner, i sovrintendenti di ieri e di oggi, il prefetto Ferrante, il sindaco Albertini, è officiata dal coreano Myung-Whun Chung. Nome che Giulini, cinque anni fa, aveva indicato assieme a quello di Abbado come uno dei suoi prediletti. La Scala, la Filarmonica, vogliono Chung. E lui parte da non si sa dove e arriva. Eccolo al Piermarini, dove dirigerà il secondo movimento dellEroica. Appunto la Marcia Funebre, una specie di versione laica al Requiem della Messa cattolica. Prima due parole. Anche lui ricorda. A Giulini deve molto. La vita è fatta di incontri. Il suo si chiama Carlo Maria Giulini, ventisette anni fa a Los Angeles. Sarebbe diventato prima suo assistente e poi direttore associato. In assoluta sintonia di intenti.
Anche per Chung è sempre valsa la regola del fare musica assieme nel nome del rispetto e dellamore: per i fogli che stanno sui leggii, ma soprattutto per i musicisti che siedono a quei leggii. Lui da Giulini ha assorbito la musica quasi per osmosi. Bastava stargli accanto per capire. Quel servitore della musica, dice, non aveva mai dimenticato di essere soprattutto un uomo. Quando ladorata moglie si ammala lui torna in Italia. Definitivamente. Perché la compagna gli ha consacrato la vita, e adesso tocca a lui. Via alla Marcia Funebre, al velluto del minore reso ancora più struggente dal contrasto con lepisodio in maggiore. Quelli della Filarmonica eseguono come non li abbiamo mai sentiti. Il cuore batte, la tensione è tangibile, lemozione si fa suono dolente e assorto. Poi lassoluto della musica del silenzio.
Quando, alla fine, direttore e professori restano inchiodati nella posizione in cui si trovano per minuti che paiono eternità. La dimensione di Giulini oggi.
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