Marisa Merz l'unica donna che ha arricchito l'Arte Povera

Le sue opere minimali antitetiche a quelle del marito Mario

Marisa Merz l'unica donna che ha arricchito l'Arte Povera

Unica donna dell'Arte Povera, ma sarebbe meglio dire una delle pochissime donne ad affermarsi in un mondo all'epoca dominato dagli uomini, Marisa Merz è morta ieri a Torino. Aveva 93 anni, una carriera lunghissima, molto seria ed esclusiva, lontana per stile e linguaggio dal monumentalismo dei colleghi uomini. E un ruolo da antipersonaggio, schivo e appartato per scelta, anche per questo molto amata dalla critica che ne ha spesso lodato l'esprimersi per enigmi, sottintesi, con lavori anche piccoli e poetici in cui utilizzare, di volta in volta, pittura, scultura, installazione non senza un certo amore per il fare artigiano, femminile appunto.

Antitetica anche alla grandiosità del marito Mario Merz, lui figura gigantesca e carismatica, lei minimale. La loro figlia Beatrice è presidente della Fondazione che a Torino ne porta il nome e promuove in particolare i giovani artisti.

Nel 2013 la Biennale di Venezia ha giustamente assegnato a Marisa Merz il Leone d'Oro alla carriera, costellata di partecipazioni alle mostre più importanti dell'Arte Povera e della scena internazionale sviluppatasi negli anni '60. Pur considerata parte del gruppo, lei ne era volutamente eccentrica. Oltre che da Germano Celant, era molto stimata da Harald Szeemann, Bonito Oliva e più di recente dai curatori più giovani che hanno sottolineato l'importanza di un lavoro forse più contemporaneo oggi che allora.

Biennali, quadriennali, documenta 7 nell'82 (una delle edizioni migliori), «Identité italienne» al Pompidou, personali al Madre di Napoli, allo Stedelijk di Amsterdam, a Wintherthur in Svizzera sono solo alcune delle sue mostre più importanti. Una presenza centellinata sul mercato che l'ha resa artista rarissima e misteriosa.

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