Martedì la sfida in tv «Sarà la comparsata delle belle statuine»

Il premier critico dopo le ferree direttive sul confronto tra lui e Prodi. «Facciamo attenzione o ci toccano tasse e mortadella»

nostro inviato a Palermo
«Abbiamo una buona notizia da darvi» attacca il premier di fronte ai 15mila arrivati da tutta la Sicilia per dare il via alla campagna elettorale nella regione che difficilmente abbandonerà la Cdl. E la buona notizia sarebbe che «Prodi ha smesso di scappare», e quindi il confronto ci sarà. Ma non sarà quello che avrebbe voluto. Perché quel faccia a faccia «no, non è il diritto ad essere informati. È una vergogna». E raccontando degli incontri che ci sono stati tra Paolo Bonaiuti e il responsabile comunicazione di Prodi, Silvio Sircana, spiega che il confronto si farà, ma è diventato «una prova da conservare al museo delle cere. Sono state stabilite regole in cui nessuno può rispondere all’altro, chi vuole fare un’eccezione deve alzare la mano come a scuola per andare in toilette. Dove l’arbitro che sarà prima Mimun e poi Vespa non può fare domande. Lo potranno fare invece gli altri giornalisti ma con il bilancino». Insomma per il premier il faccia a faccia sarà come andare a recitare una lezioncina, altro che democrazia, diritto all’informazione, pluralismo. «Saremo come delle belle statuine».
Parte da queste considerazioni il bagno di folla «rigeneratore» dopo la difficile giornata delle dimissioni di Storace e della richiesta di rinvio a giudizio, una folla fatta anche dai 700 giovani volontari, 3000 bandiere che venivano sventolate per sottolineare le frasi che il popolo azzurro condivide e poi l’inno di Forza Italia e di Mameli che tutti cantano in piedi. Di fronte all’entusiasmo della folla chiama al palco il suo medico personale, nonché sindaco di Catania, Umberto Scapagnini, per controllargli la pressione perché «siete un’emozione troppo grande».
Ma attacca subito con il suo concorrente: «Non riesco a farmelo antipatico. Mi fa tenerezza» e aggiunge che Prodi con il suo faccione somiglia a Gambadilegno, quello della banda Bassotti, e ironizza sulla teoria del cacciavite che il premier dell’Unione ribadisce in questi giorni a tormentone: «Il cacciavite dovrebbe essere il suo simbolo».
Ironico anche nei confronti di Luciano Violante che ormai ha fatto base a Palermo per la sua campagna elettorale e che ha sottolineato che mentre Berlusconi va al Palasport lui incontra i suoi elettori al mercato, «dove c’è gente normale».
«Vi ha definito anormali», ripete ai 15mila ottenendo l’effetto di un lungo coro di fischi «rozzi, ma efficaci», ribatte Berlusconi.
Ripete la sua immagine preferita, quella di chi con lo spadone insignisce i missionari «del verbo azzurro», per spiegare e raccontare in giro le tante cose che il suo governo ha portato avanti. Ricorda gli intendimenti per la prossima legislatura («perché noi vinceremo», chiosa spesso durante il discorso): riforma scuola, ma anche aumento pensioni, diminuzioni delle tasse e delegificazione. Ma poi entra nello specifico Sud e Sicilia, rivendicando come finalmente grazie all’impegno del suo governo e del ministro Miccichè sia stata finalmente completata l’autostrada Messina-Palermo e poi l’acqua che finalmente corre nei rubinetti palermitani, sino a ricordare la Banca del Sud, voluta e messa in piedi in questi giorni dal ministro Tremonti. In prima fila ad applaudire anche molti deputati, che non saranno più eletti per la riforma elettorale. Tutti in piedi quando Silvio Berlusconi ha dato appuntamento al 2012, per l’inugurazione del Ponte dello stretto: «Quando la Sicilia diventerà italiana al cento per cento».
Colpa della disattenzione «dei nostri», se la sinistra ha conquistato 6300 comuni, ma «attenti, se siamo ancora distratti, se non convinceremo il nostro popolo a tornare alle urne, il rischio è che la sinistra conquisti anche il governo. In questo caso ci sarà una democrazia minore». E lancia quella che è ormai diventata una parola d’ordine: «Comprate l’Unità e leggetela per qualche giorno. Capirete quello che hanno in pancia, come ragionano. Capirete che se non lavoriamo bene avremo mortadella e tasse». Ha un tono pacato, ma cambia solo quando ricorda l’incontro televisivo con Diliberto e le accuse rivoltegli di non capire la povertà. Così si accalora rivendicando la sua infanzia, il padre emigrato e la madre che lavorava e tirava avanti la famiglia: «Io so cos’è la povertà. Non ho bisogno di imparare da Diliberto e dai riccastri delle coop rosse e dal presidente dell’Unipol». E sulle leggi ad personam: «Il presidente del Consiglio non ha usufruito di nessuna, nessuna, nessuna cena», come era stato previsto in un primo momento, il premier lascia Palermo dopo una visita al suo bar preferito. E con un babà in mano risponde agli ultimi assalti dei giornalisti: «Nessuna incomprensione con Bossi. Anzi mi ha telefonato per spiegarmi che non era quello apparso sul giornale il significato delle sue parole («se perdiamo avremo le mani libere», ndr)».

E ai microfoni di Radio Radicale ha raccontato che Bossi gli ha telefonato poco prima che salisse sull’aereo per Palermo per ribadirgli che «senza di me e di te non c’è possibilità di cambiamento in Italia. La nostra alleanza è fondamentale». Finito il babà il premier ha lasciato una Palermo piovosa e ventosa con la consapevolezza che in Sicilia il vento è ancora a suo favore.

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