Marianna Bartoccelli
da Roma
Da Antica Babilonia a Nuova Babilonia. La presenza degli italiani in Irak sarà completamente trasformata entro il 2006. Non solo la fine della missione militare ma lavvio di quella più propriamente civile con la gestione di un eventuale futuro Prt, cioè «Provincial reconstruction team». Vale a dire linserimento italiano nella ricostruzione, assistenza sviluppo e buon governo. Lexit strategy annunciata dal ministro Martino nel corso di un audizione della Commissione esteri e interni in seduta comune, era già stata concordata dalla Casa Bianca, come ha sottolineato il portavoce del presidente George W. Bush, Scott McClellan: «Il primo ministro italiano Silvio Berlusconi e il presidente Bush hanno parlato delle intenzioni dell'Italia nel corso del loro incontro, lo scorso anno». La decisione italiana ha ricevuto subito il plauso del Pentagono che con un comunicato dato alle agenzie ha espresso «gratitudine» all'Italia, «che è stata e continua ad essere un alleato risoluto nella guerra globale al terrorismo». Il Pentagono ha anche evidenziato come «la decisione sul tipo e la durata dei contributi dei partner della coalizione resti affidata a ogni paese».
Lexit strategy, o meglio come ha voluto definirla il ministro Martino «la strategia del successo», prevede due fasi militari entro il 2006 e una civile a seguire. Via entro gennaio dallIrak 300 soldati, ed entro giugno altre mille. Si prevede che a metà 2006 le presenze italiane, attualmente quasi 3.200, verranno dimezzate. Tutto questo avverrà «con il graduale e sempre più effettivo passaggio di consegne agli iracheni della sicurezza e del controllo del territorio e con la progressiva ristrutturazione dei compiti della forza multinazionale». Man mano che le forze presenti diminuiranno, verrà aumentato «limpegno italiano nelladdestramento e nel miglioramento delle capacità del ministro della Difesa iracheno». La presenza militare avrà il compito, del tutto distinto dallattuale, di «garantire le irrinunciabili condizioni di sicurezza agli operatori civili». «Abbiamo espresso - ha spiegato in Parlamento il ministro Martino - linteresse italiano a condividere con i partner della coalizione iniziative e progetti che contribuiscano a rafforzare la presenza civile in Irak, anche con joint venture tra imprese italiane e locali in settori come quello agricolo, industriali, delle costruzioni della salute, dellenergia e anche del turismo culturale». La presenza italiana insomma si trasformerà e avrà ruolo preminente nella «governance e nello sviluppo delle infrastrutture».
Per il ministro si tratta di «un rientro giusto perché attuato in tempi compatibili con la ricostruzione e la rinascita di quel paese, corrispondente alla volontà degli iracheni, non abbandonati al loro destino». Non così la pensa lopposizione che considera lannunzio di Martino «retorica e propaganda elettorale», come afferma Elettra Deiana, di Rifondazione comunista, mentre per il capogruppo della Rosa nel pugno, Ugo Intini, si tratta di una soluzione «troppo semplice e di inutile propaganda»: «In Irak occorre una rottura di continuità con l'occupazione americana, che è stata un errore, e un ombrello di protezione neutrale e pertanto multietnico e multireligioso con la partecipazione di Paesi arabi e islamici». Duro il giudizio anche dei verdi: «È paradossale - afferma Pecoraro Scanio - che la Cdl si presenti alle elezioni vendendo ai cittadini il ritiro delle truppe dall'Irak. Pur di raccattare qualche voto la destra è disposta a tutto». Dubbi sulle affermazioni del ministro Martino anche da parte dellex ministro Lamberto Dini: «Ci sono troppe condizioni e subordinate nellesposizione del ministro. Il ritiro avverrà a determinate condizioni, con laccordo delle forze alleate, delle autorità legittime irachene. Tutte condizioni che mi fanno ipotizzare che il ministro abbia piuttosto fatto una dichiarazione elettoralistica».
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