Politica

Martino: i sottomarini americani se ne andranno dalla Maddalena

La decisione, annunciata dopo l’incontro Martino-Rumsfeld a Washington, rientra nella ridislocazione delle Forze Usa

Leo Clonas

Il giorno dei ritiri. Uno prevedibile, quello sull’Irak. L’altro inatteso, quello dei sottomarini dalla Maddalena. Non è stato certo di routine l’incontro svoltosi ieri a Washington tra il nostro ministro della Difesa Antonio Martino e il numero uno del Pentagono, Donald Rumsfeld. A far sensazione è l’intesa per trasferire dal territorio nazionale i sommergibili statunitensi di Santo Stefano. La Maddalena viene fortemente ridimensionata e perde la sua importanza strategica.
E dire che l’opinione pubblica si aspettava una decisione nella direzione opposta. Nelle scorse settimane erano circolate indiscrezioni su un possibile potenziamento della base e sulla possibile cessione di parte o di tutto l’Arsenale alla Us Navy. Voci che ora un comunicato del gabinetto del ministro può, con una punta di sarcasmo, definire «prive di fondamento». Di certo, la decisione non è stata condizionata dalle ricorrenti polemiche sulla presenza in Sardegna di sottomarini nucleari, ma rientra nell’ambito di una ridislocazione strategica delle Forze statunitensi in Europa. Con la fine della presenza degli squadroni sovietici nel Mediterraneo, quel sito aveva perso la propria importanza e, a fronte di costi comunque elevati, il Pentagono, d’accordo con il nostro governo, ha deciso che sta per giungere il momento di prenderne atto.
«Il trasferimento avverrà secondo tempi e modi che saranno definiti più avanti», ha precisato Martino, che ha espresso «tutta la riconoscenza italiana agli Stati Uniti per l’importante presidio di sicurezza che la Base ha rappresentato per oltre un trentennio e per il grande contributo che la sua presenza ha fornito allo stesso sviluppo ed alla crescita economico-sociale dell'area». Euforico il presidente della Regione Sardegna, Renato Soru, che definito la notizia «fantastica» e in generale, verdi e pacifisti, molti dei quali convinti che la base fosse una base atomica, peraltro erroneamente: quei sottomarini d’attacco sono sì a propulsione nucleare, ma a bordo portano missili con testate convenzionali. Il rischio di una contaminazione radioattiva era contenuto, come assicurano da tempo gli esperti militari, nonostante le denunce di Legambiente su livelli anormali di radiazioni nelle acque.
Archiviata la Maddalena, il nostro ministro della Difesa ha dedicato all’Irak buona parte della conferenza stampa, svoltasi ieri al Pentagono. Berlusconi al mattino lo aveva annunciato, Rumsfeld e Martino: il ritiro del nostro contingente è in programma e, salvo sorprese, verrà completato entro la fine del 2006, anche se ciò non significherà la fine del nostro impegno nel Paese. «Esiste la possibilità che domani in Irak ci venga chiesta una cooperazione civile o un continuato addestramento di militari o agenti di polizia. Questo sarà un altro tipo di missione, che potrà essere presa in considerazione, se il governo e il parlamento così decideranno».
Martino giudica «straordinari» i risultati conseguiti finora dalle nostre forze. «La situazione nella provincia di Nassirya continua a migliorare», afferma. E sono questi progressi che consentono al governo di considerare il richiamo del contingente. Nessun annuncio formale, ovviamente. «Ne riferirò in Parlamento in gennaio», afferma il ministro. E nemmeno date «tassative», ma solo «auspici», formulati poche ore prima da Berlusconi. Prudenze d’obbligo - per rispetto istituzionale e per non alimentare nuove inutili polemiche con l’opposizione - in un contesto peraltro di grande ottimismo. Martino si dice «sbalordito» per i progressi fatti sul campo nella transizione verso un Irak libero e democratico. «Il problema della sicurezza - ha aggiunto il ministro - riguarda solo quattro delle diciotto province irachene».

Il nostro ministro non ha dubbi: la violenza non prevarrà nell’Irak del dopo Saddam.

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