Antonio Lodetti
Da bambina, nel Bronx, canta in chiesa; poi passa alle canzoni di Aretha Franklin e Otis Redding e infine, a 17 anni, incide un classico di Anita Baker (altra grande del soul jazz cresciuta a Detroit) come Caught up in the rapture. Così Mary J. Blige, passo dopo passo, è diventata il simbolo del soul e del rhythm and blues che si rinnova puntellandosi sul fertile terreno della tradizione «black», sposando eleganza e carnalità, equilibrate dosi di ritmo e melodia.
Non a caso tutti la chiamano «regina dellhip hop soul» e lei, accompagnata dallultimo album The breaktrough (manco a dirlo un altro supersuccesso internazionale) e dal singolo One in duo con Bono degli U2, martedì sera propone il suo effervescente spettacolo al Mazdapalace.
Trentacinque anni, una bellezza ferina, eleganza disinvolta e trendy che cancella i segni (tranne una piccola cicatrice sotto locchio sinistro) di un passato burrascoso fatto di gang, di alcool e droga. Un passato cancellato a colpi di successi e poi definitivamente sepolto con lalbum Love & Life.
Canzoni energetiche e ricche di pathos, fatte di vita vissuta, che lhanno aiutata «a liberarmi della voglia di autodistruggermi, dellodio che covavo dentro di me. Mi sono avvicinata a Dio e lui mi ha aiutata a fare del bene agli altri e a me stessa».
Mary J. inizia la carriera professionale nel 1989 alla Uptown, etichetta allavanguardia sulla scena hip hop e rnb newyorkese. Al suo successo hanno contribuito produttori importanti come Mark Morales e soprattutto Sean Combs, prima di diventare un noto rapper con il nome di Puff Daddy. Il primo album, Whats the 411?, fa subito centro. Esce nellestate del 92 e scala le classifiche (vendendo in breve tre milioni di copie)invadendo le hit parade dei singoli e le radio con brani come You remind me e Real love.
«Ero ancora fuori di testa, ma quello è stato il primo passo verso la mia rivincita artistica e umana», ricorda ora la Blige. Con la decisiva supervisione di Puff Daddy - che nel frattempo è diventato anche il suo manager -, lartista lancia My life (1995), altro supersuccesso accompagnato da una gragnuola di singoli come Be happy, My life, I love you, Mary Jane all night long.
Mary J. diventa unartista ricercatissima; canta classici di Aretha Franklin e brani originali nella colonna sonora di alcuni film e collabora con Method Man nel brano Ill be there for you/Youre all I need to get by (questultimo classico di Marvin Gaye) conquistando così il suo primo Grammy.
Puff Daddy la lascia al suo destino ma arrivano produttori come R. Kelly e Babyface. Il risultato? Share my world, ovvero la conquista del Grammy per il miglior album di soul e Rnb, una valanga di copie vendute e una straordinaria tournée.
Ora è una star e tutti se la contendono. Il quarto album, semplicemente intitolato Mary, vede coinvolti mostri sacri come la stessa Aretha Franklin (Dont waste my time), Eric Clapton, Lauryn Hill, Elton John. Seguiranno poi No more drama, Love & Life e il recente The breaktrough.
In questo ricco campionario Mary J.
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