Roma - Mauro Masi, atto secondo. Il direttore generale Rai, dopo le polemiche che hanno investito la prima parte del suo mandato, per la seconda tranche della sua gestione non fa retromarcia ma anzi accelera. Il top manager di Viale Mazzini, per la prossima stagione (sono ancora da definire i palinsesti di quasi tutto il 2011), punta a cambiare radicalmente il volto delle tre reti generaliste Rai, soprattutto sul delicato fronte dell’informazione, da rivedere e riformulare sia nella collocazione («vorrei un programma d’informazione in prima serata su RaiUno») sia nei contenuti. «Dobbiamo dare un segnale di grande cambiamento» spiega il dg Rai. «Basta con la tripartizione rigida, che risale a 30 anni fa ed è ormai superata, fra una RaiUno votata all’intrattenimento delle famiglie, una RaiDue più giovanilistica e una RaiTre con il monopolio esclusivo dell’approfondimento dell’informazione e culturale. Questa divisione rigida non sta più né in cielo né in terra».
Direttore Masi, significa che vorrebbe più informazione su RaiUno e meno su RaiTre?
«Sì anche, ma non semplificherei in questo modo. Io penso a un grande salto di qualità dell’offerta Rai, anche in termini di pluralismo. Perché vede, il pluralismo di sostanza, non quello di forma, latita in Rai».
Ohibò, è quello che lamenta la sinistra.
«Al contrario, è evidente che in Rai l’approfondimento informativo lo fa in prevalenza la terza rete, che lo fa secondo i propri standard».
Tendenzialmente antiberlusconiani...
«Non entro nel merito politico ma penso sia un grave errore gestionale lasciare che l’approfondimento informativo sia di fatto detenuto solo da una rete. C’è un altro tema fondamentale, quello del pluralismo degli ospiti e dei servizi. Spesso in questa stagione abbiamo assistito a programmi bilanciati rispetto all’ospite politico ma totalmente sbilanciati su servizi ed esperti».
Vuol dire che intende anche aggiornare il tanto criticato «Codice Masi», quello che disciplina la presenza del pubblico nei programmi, intervenendo anche sull’imparzialità di servizi e opinionisti?
«Se si gira il mondo e si esce dall’ottica provinciale della vecchia Rai, si capisce che certi talk show che si vedono in Rai non esistono in nessun paese del mondo. Per questo dico che serve un grande sforzo, nell’interesse di tutti, per avere un’informazione più pluralistica. Faccio appello anche alle componenti più attente del centrosinistra. E poi, vede, credo fermamente che questa del cambiamento sia un’esigenza che i nostri direttori devono sentire come la sento io».
Quando non è successo, si è finiti in tribunale.
«La magistratura va rispettata e le sue sentenze applicate o semmai impugnate nelle sedi opportune. Detto questo, non posso non notare che la Rai si trova a competere in un mercato estremamente concorrenziale come quello della tv, con dei vincoli giuridici assolutamente pesantissimi, che di fatto stanno portando avanti un concetto anacronistico di inamovibilità che sta pregiudicando in maniera seria le capacità gestionali dell’azienda e che si risolve in un palese vantaggio per la nostra concorrenza...».
Insomma i giudici stanno facendo un favore alla Mediaset della famiglia Berlusconi.
«Io mi limito a dire che la Rai deve fare conti con sentenze totalmente incredibili di cui è difficile trovare precedenti in Italia o in altri Paesi occidentali, e che hanno un peso tale nella governance che si trasformano oggettivamente in un vantaggio per tutti i concorrenti».
Come va con il sindacato Usigrai, suo acerrimo nemico?
«Non c’è nessuna posizione apodittica sul sindacato da parte mia. Io sono sempre aperto al dialogo, ma solo con chi vuole affrontare i problemi strutturali della Rai, che per troppo tempo sono stati fatti marcire. Trovo difficile dialogare con chi invece combatte per difendere piccinerie di micro lobby di potere».
C’è anche la lobby degli sprechi Rai...
«Il recupero delle risorse è il tema più ampio del bilancio. Abbiamo imboccato una strada virtuosa ma certamente dura. L’azienda si è dotata di un Piano Industriale vero, che porterà la Rai ad un piccolo ma significativo avanzo di bilancio, già nel 2011 (per la prima volta dal 2005) compreso tra i 25 e 30 milioni di euro. Ho affrontato le spese ridondanti: ho bloccato tutte le carte aziendali, abbiamo tagliato in maniera feroce l’uso della macchine aziendali, i telefonini, ho chiesto sacrifici anche a direttori di rete e testata che sono in fibrillazione su questo...».
Ci dica una cosa che proprio non le va in questa Rai.
«C’è una cosa che non va assolutamente bene, lo dico con franchezza, ed è la qualità del nostro palinsesto in relazione al servizio pubblico. Dobbiamo fare tv di maggiore qualità. Anche se non è facile, perché Rai deve fare al tempo stesso servizio pubblico e mercato. Ed è un balance molto complesso».
Più cultura nella tv pubblica?
«Sì ma per cultura intendo anche i grandi spettacoli popolari. E per far questo credo serva un maggiore sforzo di produzione propria e d’autore».
Troppe produzioni esterne? Un taglio anche qui?
«Sicuramente, anche se a volte costa meno fare produrre all’esterno. Ma serve soprattutto qualità. Io mi adopererò perché la Rai si consolidi come la prima azienda culturale, in senso popolare, del nostro Paese».
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