Partiamo dalla dedica «a Matteo Miotto», morto in Afghanistan il 21 dicembre 2010. Alle parole dellalpino di Vicenza, ucciso in uno scontro a fuoco, Massimo Fini affida il compito di condensare lo spirito e il significato del suo nuovo libro, Il Mullah Omar (Marsilio, pagg. 172, euro 16, 50). Una biografia del leader talebano, da anni inseguito senza risultati dagli alleati sul campo di battaglia. Largomento è spinoso, soprattutto osservato dalla prospettiva di Fini, secondo il quale la guerra contro i Talebani è una intromissione (neocolonialista) negli affari di un popolo che avrebbe il diritto di vivere come preferisce, lotte fratricide incluse.
Torniamo a Miotto e alla sua lettera aperta sulla questione afgana scritta pochi mesi prima di morire: «Questi popoli hanno saputo conservare le proprie radici, dopo che i migliori eserciti, le più grosse armate hanno marciato sulle loro case, invano. Lessenza del popolo afgano è viva, le loro tradizioni si ripetono immutate, possiamo ritenerle sbagliate, arcaiche, ma da migliaia di anni sono rimaste immutate. Gente che nasce, vive e muore per amore delle proprie radici, della propria terra e di essa si nutre. Allora capisci che questo strano popolo dalle usanze a volte anche stravaganti ha qualcosa da insegnare anche a noi».
Queste parole sono il cuore del libro. E sorreggono gli interrogativi sollevati da Fini. I costumi degli altri popoli meritano rispetto anche se diversi dai nostri. Non si può costringere il resto del mondo a vivere secondo i canoni occidentali. Soprattutto non si può costringerlo con la forza, specie se i motivi per cui si bombarda, al netto di retorica e propaganda, sono opachi. Siamo dunque di fronte a un nuovo tipo di colonialismo a volte mascherato da missione in favore dei diritti umani? Abbiamo dunque cancellato il diritto internazionale prima in Afghanistan, poi in Iraq e magari oggi in Libia con azioni avventate, nonostante il paravento dellOnu?
Certo, le possibili obiezioni sono molte. Non si può tollerare lesistenza di governi che coccolano il terrorismo internazionale. Non si può lasciar massacrare i cittadini inermi nel corso di sanguinose guerre civili. Sarebbe meglio non negoziare con regimi che non rispettano i diritti umani, ma la realpolitik a volte è utile. Bisogna rispettare le civiltà altrui, è vero, ma non al punto da mettere sullo stesso piano dittature e democrazie. Il mercato, e la sua globalizzazione, garantisce sviluppo economico, e quindi libertà e migliori condizioni di vita: sono i vantaggi della modernità. Al Giornale la pensiamo così. Fini però tocca un nervo scoperto, sarebbe sciocco negarlo. Basta ripensare ai dubbiosi commenti sulla questione libica ospitati dai giornali di ogni ispirazione politica. Inoltre lautore muove da presupposti lontani anni luce dal politicamente corretto; qui la critica dellOccidente è una critica della modernità.
Massimo Fini è un eccellente biografo. Il Mullah Omar tiene inchiodati alla pagina in virtù di un ritratto controcorrente. Omar è un bisonte alto 1 metro e 98 centimetri. Incute timore. È inflessibile quando si tratta di decidere. Eppure è timido, gentile, umile. Non vuole esportare la rivoluzione islamica, è interessato solo alle sorti del suo Paese. La presenza di Osama Bin Laden, giunto in Afghanistan prima dellavvento dei Talebani, è un fastidio che tollera suo malgrado. Non è antiamericano, almeno inizialmente. La sua politica si può riassumere così: spazzare via il sistema feudale afgano, e con esso i signori della guerra; ristabilire la pace e instaurare la sharia; inaugurare una sorta di «Medioevo arabo» in cui calibrate concessioni alla modernità non stravolgano «la natura di una società regolata sul piano del costume e in particolare del diritto di famiglia da leggi arcaiche risalenti al VII secolo arabo-musulmano». Fini non nasconde le atrocità del regime e la discriminazione contro le donne, però fa notare come il risentimento nutrito dallOccidente verso Omar sia speciale, dettato da un sentimento più profondo rispetto allo sbandierato rispetto dei diritti umani. Il Mullah incarna «lorrore allo stato puro», «lalieno», «laltro da sé», «il mostro».
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